Correnti alla luce del sole

Correnti alla luce del sole Correnti alla luce del sole Von. Montessoro: «Non mi fido, me ne vado» ROMA. Qualcuno ha già sbattuto la porta. Antonio Montessoro, deputato di La Spezia, ha scritto una lettera di dimissioni dal partito e dal gruppo parla mentare di Montecitorio. Le ragioni: non è d'accordo, raccontano i suoi colleghi di partito, con la proposta di Occhetto di cambiare il nome al pei, non si fida dell'attuale gruppo dirigente. Il personaggio in questione non è l'ultimo arrivato. Fedelissimo di Enrico Berlinguer, descritto da tutti come un uomo prudente e riservato, nella sua storia ha ricoperto più di un incarico delicato. Ad esempio, come presidente della commissione Lavoro del comitato centrale fu tra quanti impostarono la strategia del pei nello scontro con il governo Craxi sulla scala mobile. Eppure Montessoro non ci ha pensato un attimo a scegliere una strada così traumatica per manifestare il proprio dissenso. E' uno dei tanti episodi che testimoniano il dramma che sta vivendo il pei. Se il partito rischia addirittura di esplodere, già ora si può dire che è andata in mille pezzi una liturgia, un costume, un'immagine che avevano sempre caratterizzato il suo modo di essere. Certo il nuovo corso di Occhetto aveva già cambiato il volto del pei, ma sulla scia degli ultimi eventi ogni limite è stato superato. Stavolta senza alcuna regia. Ieri sono continuate le contestazioni fuori dal portone di Botteghe Oscure. La veemenza non è stata quella del giorno prima (l'automobile di Lama questa volta non è stata presa a calci), ma Gerardo Chiaromonte si è beccato un «vattene a casa tua, nel psi». Tra i manifestanti (ma non tra gli scalmanati), c'era la signora Cossutta. Il marito, applauditissimo dai contestatori, ha congedato tutti con una battuta: «Engels diceva che per sapere com'è un budino bisogna assaggiarlo, ma per questo basta sentire l'odo- re». Se le contestazioni davanti al partito sono una novità, le critiche verso l'Unità sono una tradizione. Ieri, però, il suo disappunto Luciano Lama lo ha Sridato ai quattro venti, prima alla tribuna del comitato centrale e poi ai giornalisti fuori dalle Botteghe Oscure: «Sul giornale nessuno ha deplorato quello che mi hanno fatto davanti alla sede del partito. E non è la prima volta./. Stesso discorso vale per le riunioni di corrente, per le cene carbonare. Nel pei ci sono sempre state, non è un mistero. Ma erano segretissime e avvolte nel più stretto riserbo. Questa volta, invece, finiscono per far parte della sceneggiatura del comitato centrale. L'altra sera, ad esempio, quando per evitare lo scontro gli uomini della segreteria hanno cominciato a preferire l'ipotesi di una convenzione programmatica, non è stato solo Ingrao a puntare sul congresso straordinario, ma anche la destra del partito. Con un obiettivo diverso, però, da quello di Ingrao, cioè quello di sancire nell'assise la divisione tra Occhetto e la sinistra. Una decisione assunta in una cena. Almeno così dice Luigi Corbani: «Ci siamo visti, i soliti, per dire che c'è bisogno di un congresso straordinario. Anche perché processi del genere non si possono fare all'improvviso, mantenendo l'ambiguità, dimenticandosi che appena una settimana prima, chi diceva le stesse cose, veniva crocifisso». Di quell'incontro a tavola, alla fine, erano al'corrente tutti, anche gli uomini del segretario. Fischi fuori dal portone, cene di corrente, manovre di corridoio, il «riservato» esce allo scoperto. Con un rischio. Lo stesso di cui ha parlato Elena Corda ni in comitato centrale: «Si è leso un rapporto di fiducia tra il partito e il gruppo dirigente. Sarà duro recuperarlo». Augusto Minzofini i

Luoghi citati: La Spezia, Roma