Il Brasile tentato dal populismo di Mimmo Candito

Il Brasile tentato dal populismo ■RASILE Presidenziali, de Mello sfida Lula Il Brasile tentato dal populismo Fernando Collor de Mello e Luinacio Lula da Silva. Dopo cinque giorni dal voto, finalmente si conoscono i nomi dei due candidati che il 17 dicembre si contenderanno la designazione popolare a presidente della federazione brasiliana. Ieri sera era stato scrutinato il 99,2 per cento delle schede, il risultato poteva considerarsi ormai definitivo. Collor de Mello, leader di un inconsistente Partito per la ricostruzione nazionale, si è guadagnato 20.395.969 suffragi, e 28,3 %; Lula da Silva lo segue a larga distanza, con 11.535.365 preferenze (e 16,1 %), ma brucia di quaci mezzo milione di voti Leonel Brizola, suo concorrente a sinistra. In un panorama internazionale senza più cortine rugginose la distensione ammazza, anch'essa, il Terzo Mondo, togliendogli non solo la destinazione delle risorse ma anche l'attenzione dei popoli ricchi (siano a Ovest o a Est, non conta); eppure queste elezioni del Brasile, che segnavano un ritorno completo alla democrazia dopo 29 anni di dittatura e di crisi, offrivano molte ragioni d'interesse. Soprattutto due: il grado di tenuta delle recenti strutture politiche, per il riflesso che poi questo ha sul resto del continente latinoamericano; il confronto tra l'ambiguità del populismo e le tensioni riformiste, in una situazione continentale di forte deterioramento socioeconomico. La frammentazione delle notizie rende ancora impossibile una lettura in scomposizione dei dati. Ma alcune risposte sono già possibili, e prima tra tutte la naturalezza con la quale è passata via questa data tanto importante per la ricostruzione di un tessuto politico che resta comunque largamente grezzo; la fresca democrazia brasiliana trova nell'esercizio del voto la conferma di un proprio diritto al riconoscimento della crescita della società. E' ancora una società drammaticamente duale, con un 22 per cento che vive e consuma secondo standard europei e un 78 per cento che pencola incerto tra la disperazione subsahariana e la miseria del sottosviluppo; però le tensioni non hanno distrutto il meccanismo della consultazione popolare né gli hanno sottratto forza rappresentativa. Il voto del 15 è dunque, credibilmente, il voto autentico della gente del Brasile. Ma una cosa sono le istituzione e altro è la società, quando le infrastrutture della vita collettiva risentono non solo l'arretratezza del rapporto tra Stato e cittadino ma anche il peso gravemente deformante di più di vent'anni di dittatura militare. Questo porta all'analisi del secondo elemento: il confronto tra populismo e riformismo (moderato o rivoluzionario, qui non importa). Il voto dice che il populismo di Collor, ambiguo, tuttofumo, ha guadagnato la maggioranza relativa; però la sua è una vittoria contenuta, dimezzata rispetto alle previsioni di solo un paio di mesi fa, e segnata da un rifiuto del vecchio populismo dell'Mbpd piuttosto che dall'adesione reale al fascino del nuovo populismo elettronico. E ancora: la crescita finale del socialdemocratico Mario Covas (più del 10 per cento di voti) e la sconfitta di un'opzione sì di sinistra, ma molto ambigua anch'essa e venata di populismo, com'è quella di Brizola, rispetto invece a una designazione chiaramente marcata nel suo segno di alternativa, qual è il programma di Lula da Silva, tracciano un panorama politico dove le sinistre esprimono senza equivoci una forza vicina al 50 per cento dei voti. E si candidano autorevolmente alla guida di un Paese che oggi ancora ha 5 ministri militari. Covas e Lula rappresentano interessi molto diversi, ma l'arco che li unisce sottende oggi una lettura omogenea delle ragioni della crisi del Brasile. E' difficile però credere che questa omologazione possa ripetersi nel voto del 17 dicembre, dove l'indeterminatezza della proposta di Collor (fascinosa a destra come a sinistra) potrà giocare con maggior libertà nei confronti di un profilo ideologico, molto marcato, del sindacalista massimalista da Silva. Restano comunque le ragioni per apprezzare la creazione di un confronto politico reale, ma resta soprattutto l'interesse per le decisioni politiche che accompagneranno poi il risultato del confronto. Dal Messico all'Argentina, un populismo vittorioso di facciata si piega in realtà a una pratica politica di segno moderato, neoliberista: l'eventuale conferma anche nel gigante Brasile riproporrebbe la domanda sul ruolo delle riforme e dei riformatori nel continente che sognò la rivoluzione. Mimmo Candito

Persone citate: Brizola, Covas, Leonel Brizola, Mario Covas

Luoghi citati: Argentina, Brasile, Lula, Messico