SENZA LA TV FA MENO SGARBI

SENZA LA TV FA MENO SGARBI SENZA LA TV FA MENO SGARBI *M "^ON si fan libri», prejHA ! dicava Spadolini ai \Wk\ I giovani redattori, I fft ! «raccogliendo gli arI wk\ I t'con>>- Fu '1 primo a I hHI smentirsi? ComunnU que nessuno gli diede bBB retta e Goldoni inau1 wi gu™ addirittura una JL WS sua collana, presso Cappelli. Il discorso è vecchio, scrittura o giornalismo, e peggiora via via. E in questi giorni tocca a Vittorio Sgarbi, che risulta tra i bestsellers con «Davanti all'immagine» (Rizzoli, pp. 314, L. 30.000); titolo speculare e provocatorio rispetto alle lezioni-letture del «Dietro l'immagine» di Federico Zeri (Longanesi 1987), raccolta abbastanza variegata di recensioni, schede, divagazioni, polemiche e prose come si dice «d'arte». Il sottotitolo annuncia «artisti, quadri, libri, polemiche». Perché l'ha compilato, e che libro è? Intellettuale scontroso In tanti oramai conoscono Sgarbi, in questi «tempi di miserevoli risse televisive», come scrive il silenzioso Marco Rosei. Personaggio periodico nel teatrino tv del bravo burattinaio Maurizio Costanzo, Sgarbi vi interpreta il ruolo dell'intellettuale scontroso ma esibizionista, del concorrente che non lascia ma raddoppia ed è anche sgarbato. Gli scontri non sono davvero tra giganti: ma lui va giù duro anche con le macchiette. Come un Ayrton Senna l'importante è vincere; chi ha «classe» ha anche diritti. Nulla dunque lo infuria, racconta a pagina 305, quanto essere definito un «rampante», espressione usata dall'invidia volgare. Ma «assistere alla propria trasformazione da uomo a mito», scrive a pagina 303, «è una esperienza assai singolare; Sgarbi dice quello che tutti (o molti) pensano e nessuno dice». Giacca, cappello, scarpe e calzini rigorosamente neri (ma dovrà avere tante giacche tutte uguali), colletto e cravatta morbidi; una eleganza da Jeeves ma anche una uniforme, una «mise»: l'incendiario vestito da capufficio, il giovane ma rispettoso dell'antico, il servitore ma discreto. Compare, si presta, malmena il dilettante di turno, consente qualche pruriginosa malignità sulla sua temperatura sessuale, confessa di amare la mamma di Ro Ferrarese, fa il birichino, il bastian contrario; ci vendica dopotutto dai predecessori prof. Cutolo, Marianini, De Crescenzo, Alberoni. «Un uomo il cui comportamento», insomma, «così mondano e presuntuoso è tutto da ascrivere» (è detto a pagina 312) «a una lacerata rinuncia alle grandi ambizioni». Cos'è allora, un sopravvissuto e romantico prence, un divulgatore montanelliano, un bel ragazzo vittima, come afferma a pagina 310, di una «congiura dei brutti», o addirittura una «sostanza psicoattiva che va legalizzata e inserita nella farmacopea ufficiale»? Qualcuno capace di vincere «lo storico confronto uomomacchina» (della verità)? Uno storico d'arte finalmen¬ te, un ambizioso, un recitante vetero-futurista che sa usare il rumore dello scandalo, gli sciocchi mass media di Vanna Marchi, o l'autentico anti-Baudo? E ha davvero conquistata così una popolarità «non specifica, non legata al proprio mestiere, ma alla propria persona»? L'uomo è abile a mostrarsi complesso, problematico, migliore della propria immagine. E' dunque il nome, il personaggio, quelli che si vendono in libreria: lettori che non leggeranno mai, fiducia indotta, battage? Davanti all'immagine Perché — anche a prescindere da ogni esame — gli argomenti di «Davanti all'immagine» non sono popolari né facili, anche se già pubblicati in settimanali; perché non offrono nemmeno il «servizio» di un Saper Vedere. Sono proprio, come sconsigliava Spadolini, la raccolta facile, miscellanea, di cose viste per mestiere, per obbligo di giornalista. Nella professione poi, si sa, cadono giorni buoni e altri meno. Ecco così articoli giovanilissimi (quanti anni avrà avuto, Sgarbi?) come quello lirico su Jacopo della Quercia; misteriose al lettore rivendicazioni qualitative di Rambelli, Minerbi, Andreotti, Marami, Ferrazzi (tutto uno chic di regime un po' ambiguo). Ecco manifesti volutamente e un poco, scontatamente provocatorii come l'elogio del vandalismo («ciò che non si può creare, si può distruggere, ma la tensione, la condizione psicologica rimangono le stesse») tardo dannunziano-futurista. O altre riflessioni, forse prefazioni commissionate, come «Igatti dell'arte». Poi ancora pezzettini brevissimi, notizie telefonate al giornale; ma ci passano nientemeno che Pietro Cavallini, Giovanni Pisano, Marco Romano, Benedetto Antelami, Paolo Uccello che «vegliava le notti serene, ignorando i richiami della moglie», Caravaggio in cui «il vero della frutta è lo stesso vero dell'uomo». E' proprio giusto insomma che un libro non fa un volume, o viceversa? Che riflessione e pretesto son cose differenti, anzi opposte? Oddio, certi risultati si ottengono anche, nel nostro lavoro. Ecco qua che la vecchia scuola bolognese di Longhi-Arcangeli, con la sua protratta atmosfera letteraria tra Cecchi e Cardarelli, nel nipotino Sgarbi colpisce ancora: l'articoletto sul bizzarro provinciale cinquecentesco Lelio Orsi. Ma dopo, certo per inesperienza dell'editore, ecco due, tre pagine di «bibliografia» in carattere grandi per sei-sette pagine di testo: esibizionismo o pregnanza? O una «lacerata» nostalgia di studi e scritti altrimenti severi? Non un libro interessante; ma purtroppo neanche un libro divertente, scandaloso, incendiario, giovane: almeno alla altezza del personaggio tv. E' un peccato perché Sgarbi intelligente deve certamente esserlo, prima dei burattini. E lo è certo ancora, quando non se lo dice da solo. Ma è recuperabile, oramai? Claudio Savonuzzi ;4;-j;...-ìiìu.. ' Le/io Orsi: «Balestriere»