VIVA LA MATERIA di Angelo Dragone

VIVA LA MATERIA VIVA LA MATERIA Prampolini dal futurismo alle composizioni cosmiche CMILANO ON la mostra «Prampolini verso i polimaterici», ordinata dalla galleria Fonte d'Abisso nelle sue due sedi di Modena e di Milano (fino al 4 febbraio), si finisce col ripercorrere, e capire anche meglio, una pagina tra le più interessanti e vive dell'avanguardia visiva italiana. L'opera di Enrico Prampolini (Modena 1894 - Roma 1956) consente infatti non soltanto di saldare, a distanza d'un quarantennio, un «dopo Boccioni» con il materico Burri degli Anni 50, ma più di ogni altra, forse, rivela a quali profondità il diversificato «secondo futurismo» potè manifestare nelle molteplici sue valenze — ma essenzialmente tra pittura, scultura e scenografia — inequivocabili nessi con i coevi movimenti europei. Nel vivere anche in senso esistenziale il proprio impegno creativo Prampolini — iscritto nel 1912 all'Accademia di Belle Arti di Roma per lasciarla dopo la pubblicazione del manifesto «Bombardiamo le accademie e industrializziamo l'arte», mentre frequentava lo studio di Balla — fin dal 1912 aveva esordito, con i primi lavori futuristi, in una mostra collettiva alla galleria Frattini di Roma. Di ispirazione boccioniana erano state le iniziali ricerche sul dinamismo e le compenetrazioni simultanee degli elementi compositivi che gli avevano assicurato un ruolo di rilievo nella Prima Esposizione Libera Futurista Internazionale, da Sprovieri a Roma nel '14. Dell'anno dopo fu la pubblicazione — ne «L'Artista Moderno» di Torino — di «Pittura pura, Contributo per l'arte astratta» che avrebbe fatto testo. Già allora era dunque sul filo di quelle esperienze europee di cui fu partecipe, come testimoniano anche gli scritti comparsi in alcune riviste di avanguardia — da «Avanscoperta» (1916) a «Procellaria» (1917) e «Noi» (1917-25) — per non dire dei manifesti propositivi: «Cromofonia» (1913), «Scenografia e coreografia futurista» (1915), «L'arte meccanica» (1922), «Dalla pittura murale alle composizioni polimateriche» (1934). E con i polimaterici, appunto, si propose di interpretare «i nuovi fenomeni della vita legati al linguaggio astratto delle grandi leggi cosmiche». Di mano in mano, ancor prima di stabilirsi a Parigi nel 1925 — per rimanervi quattordici anni —, era stato in rapporti con Tzara e aveva partecipato alla mostra «dada» di Zurigo; lo si potè poi trovare col Novembergruppe (1919), e in altri movimenti: Section d'Or, Bauhaus, De Stijl, Cercle et Carré, Abstraction-Création, in linea, dunque, con gli sviluppi dell'astrattismo europeo. Da parte sua, nella stessa scelta delle opere esposte — dalle figurazioni dinamicamente elaborate nel suo futurismo prebellico e dal polimaterico predadaista «Beguinage» (1914) a «Concrezione cosmica» del '55 — si assiste all'innovativo uso, spregiudicato e stupefacente, di materiali d'ogni genere che dovevano dare alle sue composizioni colori, non più di colore, ma non meno vivi ed espressivi, colmando ogni elemento d'una propria poetica motivazione. Se in «Policromie spaziali» sviluppava intanto una analisi ch'era fatta anche, come dicono altri titoli, di «Ritmi spaziali» e di «Rapporti lineari», dalle marcate strutture di «Geometria della voluttà» alla «Nomenclatura aeroplastica del '32, l'avvento del «polimaterico» era già in atto con pigmenti sabbiati e il collage di cartone ondulato — non senza un pizzico di aeropittura che ne segnava il momento — mentre gli «Automatismi polimaterici» del '37 rivelavano vere e proprie intrusioni oggettuali destinati ormai ad entrare nell'organismo stesso del quadro. I titoli, poi — «Composizione geoplastica», «Tensioni astratte», «Apparizione cosmica» — continuavano ad alludere ad una visione sempre più distaccata dall'immagine del vero che, al di là dell'operazione dell'«astrarre», sottolineano la concreta autonomia figurale e poetica di una realtà diversa da quella naturale, di cui l'autore emula semmai il processo creativo. In una prospettiva che Prampolini illustrò anche nei suoi scritti, con il piglio e la foga d'un trattatista che non dimenticò mai la sua formazione futurista. Le opere, anche quelle astratte dei primi Anni 50, come gli affascinanti studi minimi per «I sette peccati» (1955), danno una idea piuttosto precisa delle posizioni, sempre avanzate, di mano in mano assunte da Prampolini, anche attraverso una serie di dialettici incontri: con Picasso e Kandinskij, Léger, Mondrian ed altri. L'analisi formale consente, d'altra parte, spesso di individuare nelle scansioni elementari ogni memorizzato dato naturalistico, anche antropomorfo, in grado di permanere nella creativa convergenza di segno e di materia-colore, propria di ogni quadro. Ma è stato proprio nei polimaterici che Prampolini riuscì ad andare oltre: attingendovi un nuovo senso dello spazio cosmico, cui intese dare le più singolari valenze poetiche, fisiche e psicologiche. Angelo Dragone mmm Enrico Prampolini: «Nomenclatura aeroplastica» (1932)