L'AMERICA URLATA DI FRANZEN di Masolino D'amico

L'AMERICA URLATA DI FRANZEN L'AMERICA URLATA DI FRANZEN GRAZIE a Dio, non tutti i giovani scrittori americani debuttano con un libriccino di cauti racconti sulle proprie esperienze al college o sulle frustrazioni dei genitori. Nato nel 1960, Jonathan Franzen ha iscritto per la prima volta il proprio nome sull'atlante della letteratura l'anno scorso con La ventisettesima città, straripante volume di quasi seicento pagine dove si tenta con ambiziosa incoscienza di far confluire almeno due generi apparentemente poco conciliabili, quello del thriller e quello del romanzo psicologico a più strati: «Il genere di cosa che potreste aspettarvi se Thomas Pynchon fosse scappato con un'idea rubata a Donald Wcstlake», ha scritto uno dei primi recensori, aggiungendo: «Che una combinazione del genere possa rendervi felici o meno è un altro discorso». La perplessità è giustificata, è infatti probabile che il tipo di lettore più atto ad appassionarsi per la storia raccontata da Franzen sia anche quello meno disposto a durare la fatica che il modo scelto da Franzen per narrarla comporta: di solito la letteratura d'azione è rapida e accessibile, e se imposta dei misteri si preoccupa poi di chiarirli. A Franzen preme invece ribadire la confusione, l'ambiguità della vita, soprattutto nella folle America contemporanea, e nessuno dei suoi personaggi in nessun momento possiede le chiavi per spiegare ogni cosa; e alla conclusione della vicenda molti interrogativi rimangono aperti. Inoltre la sua narrazione va avanti a forza di episodi molto brevi, spostando l'obbiettivo su questo o quello di molti personaggi che per molto tempo non troviamo agevole riconoscere, non di rado mescolando ai fatti, o a quelli che sono presentati come tali, sogni, brandelli di passato, illusioni. Infine il protagonista, o perlomeno colui che si trova al centro della vicenda, si mantiene fino all'ultimo abbastanza smorto, passivo e indecifrabile, e non possiamo contare su di lui per un appoggio. A dare vividezza ai singoli momenti è d'altro canto la grande perizia dell'autore in un americanissimo realismo per i dettagli: che ci si trovi sulle panchine di uno stadio o nella toilette di un aereo, ogni ambiente evocato è sempre estremamente convincente, studiato per farci entrare senza sforzo nell'azione. La quale si può leggere anche come una parabola sugli Stati Uniti di oggi. Ci troviamo in una stravolta St. Louis nel Missouri (ventisettesima città americana in ordine di grandezza), nel 1984, poco dopo la imprevedibile ma tuttavia ineccepibile elezione a capo della polizia di una giovane e bella donna indiana, Jammu, che ha al suo attivo una esperienza analoga a Bombay. Grazie ai provvedimenti blandamente rivoluzionari e alla energia di questa Jammu, nei mesi seguenti le cifre dei delitti decrescono, e la stampa nazionale segue ammirata quello che sembra l'inizio di un nuovo ordine. Ma Jammu ha dei fini misteriosi, di cui il più visibile è la promozione di una unificazione amministrativa della città con la contea circostante, in merito alla quale deciderà uria elezio¬ ne popolare, che pertanto bisogna vincere. Fra i mezzi più o meno occulti con cui Jammu si ripropone di ottenerlo ci sono l'infiltrazione sistematica nella città di migliaia di suoi connazionali; la creazione di un clima di tensione mediante atti di terrorismo; l'organizzazione di una rete di spie e di corruttori di tipo mafioso. Piano piano Jammu attira dalla sua tutti i cittadini influenti, ad eccezione dèi reazionari più incalliti, i quali hanno ragione a sospettare di lei ma non riescono a farsi ascoltare dalla maggioranza moderata; e ad eccezione di Martin Probst, costruttore, uomo noto per la sua integrità. La storia di questo romanzo sempre un po' allucinato — accanto al nome di Pynchon verrebbe spontaneo fare quello di Salman Rushdie — diventa così in gran parte quella della strategia messa in atto da Jammu e dai suoi accoliti allo scopo di conquistare l'assenso di Probst. Con squisito sadismo psicologico orientale, gli indiani decidono di fiaccare Probst negli affetti, e pertanto gli alienano, poco per volta, la famiglia, uccidendogli il cane, traviandogli la figlia, seducendogli la moglie. Il processo è così delicato, che da ultimo Probst si ritroverà nelle braccia della sua avversaria politica quasi senza rendersene conto. Così ridotta all'osso, la trama de La ventisettesima città sembra cristallina, in realtà infiniti episodi secondari, false partenze e, a guardar bene, anche contraddizioni continuano incessantemente a rimescolare le carte, e si arriva alla meta con una certa stanchezza, come il bravo traduttore Ranieri Carano, che passata pagina 450 comincia a sbarellare anche lui («mongoli» per Mogol a pag. 476, «giocare il ruolo» a pag. 481): ha tutta la mia solidarietà, anch'io ho dovuto stringere i denti. Ma pur con le riserve di cui sopra il talento stravagante di Franzen suscita spesso la curiosità, e il suo controllo della tanta carne al fuoco incute sempre rispetto. E' nato insomma un autore originale, del quale sentiremo riparlare. Masolino d'Amico Jonathan Franzen La ventisettesima città Mondadori pp. 570, lire 30.000

Luoghi citati: America, Missouri, Stati Uniti