Il poeta e i gioielli del piacere

Il poeta e i gioielli del piacere Due mostre: a Bergamo monili rari, a Milano i regali di D'Annunzio Il poeta e i gioielli del piacere «Da peccatore, non resisto alle tentazioni!» MILANO DAL NOSTRO INVIATO I gioielli raccontano le tappe importanti della vita di chi li possiede e di chi li dona. Diventano simboli immortali, che, al di là del valore, si legano indissolubilmente ai destini della gente. E se sono stati disegnati e creati da abili artigiani, nel tempo, acquistano anche il fascino magico dei capolavori. Ai gioielli sono state dedicate due mostre a Milano e a Bergamo. Quest'ultima, intitolata «Gioielli rari dal mondo», è stata organizzata dalla Galleria Previtali, che ha messo in vetrina pezzi prodotti dal XVII al XX secolo. I gioielli del secolo scorso appartengono a collezioni italiane, inglesi, francesi e polacche. In vetrina si sono viste le raffinate cesellature che fanno da cornice a dediche amorose; le severe e talvolta ricercate elaborazioni dell'epoca georgiana e vittoriana si sono contrapposte allo stile più essenziale ispirato all'arte egizia, greca ed etnisca. Le scoperte archeologiche del secolo scorso riuscirono a influenzare anche questo settore artistico. La sezione dedicata all'arte orafa del Novecento ha accolto anche pezzi americani: vistosi, preziosi, ricchi, hollywoodiani. La mostra milanese di Buccellati, aperta al numero 4 della brillante via Montenapoleone, è stata dedicata alle opere create da Mario Buccellati a partire dal 1919. Non soltanto gioielli, ma anche accessori (borsette Anni Trenta in tessuto e trousse Anni Cinquanta in metalli preziosi), argenteria e attrezzi d'oreficeria. Buccellati è stato l'orafo dei principi e dei papi: la casa reale italiana, la regina d'Inghilterra, la casa reale d'Egitto e d'Etiopia, la corte vaticana di Pio XI e Pio XII. E pure di personalità dello spettacolo e dell'industria. Cliente affezionato dell'orafo milanese era anche Gabriele d'Annunzio. In via Montenapoleone sono stati esposti molti dei lavori che il poeta aveva commissionato: collane, bracciali, spille e tabacchiere, e voluttuose collane ombelicali. Fa da corollario alla mostra il libro, curato da Piero Gibellini, in cui Lorenzo Buccellati, figlio di Mario, ha fatto raccogliere tutte le lettere che d'Annunzio scriveva al suo gioielliere. Ne è uscito un gustoso volu- metto di cinquanta pagine che si divora rapidamente con un sorriso benevolo. Dalle lettere del poeta traspare la sua schiettezza, velata talvolta dal compiacimento, talvolta da un sottile compatimento verso se stesso. Ma soprattutto colpisce la sua generosità. Gabriele d'Annunzio, nella sua opera letteraria, si ispira spesso ai colori delle pietre, alla lucentezza delle gemme e alla magia dei metalli preziosi. Ma dall'epistolario è facile capire che anche nella vita reale assapora un piacere sublime nell'adornare le sue donne di gioielli e monili. Per se stesso indugia su certe raffinatezze che pochi possono permettersi anche se spesso deve frenarsi perché non ha sufficienti disponibilità finanziarie e finisce talvolta per ordinare modesti oggettini. Già nella sua prima lettera a Buccellati, l'I 1 dicembre 1922, confessa istrionico «da povero peccatore, non resisto alle ten¬ tazioni!». I gioielli gli piacciono e con essi tutto ciò che l'abile Mario sa produrre per alimentare la sua vanità. Scrive nel 1927: «Caro Mario, trovo il tuo prezioso pacco dinanzi alla porta della mia officina, dove lavoravo dalle cinque pomeridiane di ieri: 29 ore! Dalle mie bellezze passo alle tue bellezze! Come è bello il diadema! Lo provo alla mia fronte calva». E' generoso il poeta. Chiede uno spillo «piuttosto ricco» da donare al salvatore dei suoi cani «diletti» e portasigarette, spille, gemelli, bracciali e anelli per un gruppo di «illustri sonatori» che terranno un concerto al Vittoriale. Si compiace del successo dei suoi doni: «Il braccialetto delle malachiti è molto ammirato a Parigi, su un braccio perfettissimo». E ancora: « Grazie... dei tartarughini... che sono fuggiti ormai tutti, a rapimento. Ne chiedo ancor molti, una cinquantina» e «quel tuo braccia¬ letto traforato suscitò entusiasmi quasi lacrimosi in chi l'ebbe. Squisito è l'anello "eterno" con i miei due colori araldici: il rosso e il blu». Spesso vuole personalizzare gli oggetti che dona con celebri diciture: «Ti prego di rinnovare le scatole d'argento con l'impresa Ardisco, non Ordisco, incidendo le firma autografa, nella faccia interna del coperchio». E' sinceramente ammaliato dagli oggetti che gli arrivano puntualmente e non lesina i complimenti: «Come sempre, tu superi per novità e squisitezza la mia aspettazione». E dice di arrossire di fronte alla bellezza di quei pezzi, pur essendo consapevole dei grossi debiti che ha nei confronti del gioielliere: «Tutti siamo in crisi, ahimé! ...Ti prego di ricordarmi la data della seconda scadenza. L'ho smarrita. Ti mando oggi queste 10 mila lire. Non ho altro. Pazienza e ardire» e, essendo in ristrettezze economi¬ che, sa di non poter largheggiare, ma non per questo rinuncia a donare, si limita nelle spese e sceglie «modeste» pietre al posto di perle. E infine, nelle sue lettere non tralascia di parlare di sé e di far della poesia in prosa: «Son travagliato da una faringite "aviatoria e oratoria", che ■— per difetto di silenzio — non guarisce ancora! Anche oggi i tuoi preziosi oggetti arrivano mentre son chino a una inalazione fastidiosa»; «Sono infermo e infermiccio, per alcune settimane, d'un di que' dispettosi malanni che vagano fra il falso inverno e falsa primavera; né son guarito, per ricadute causate da impazienza e imprudenza... Ma oggi le mie grandi magnolie piegano sotto il peso della neve: di quella bianca vergine che ha la stupidità dell'ovo recente. Non mi consolerà l'esser fra breve sotterra, se non riuscirò a fuggir l'esosa terra». Irene Cablati Carissimo Mario, ti sono grato della tua nativa gentilezza che manda il buon messaggero incontro al mio ritardo. Le tre cose sono tre «things of beauty». Le dono a una bellissima amica britanna: «professional beauty». Ma non mi aspettavo le perle. Il Comandante non può donare se non perle perfette (ahi, da 100.000 in su!). Nella presente miseria, preferisco le pietre di colore, io colorista incomparabile anche in oreficeria. La mia amica, black and white come il whisky di James Buchanan, deve avere ancora tre cose scure. Ti prego di farmi un anello molto lavorato con una pietra scura, un braccialetto di pietre scure (in altri tempi tu me ne hai dati di ammirabili), e una spilla con una pietra scura. Inoltre, quando ero a Milano io ti pregai di farmi una collanina di pietre blu. Te ne ricordi? La vorrei. (Le pietre scure delle tre cose potrebbero essere anche dipietre blu: zaffiri o lapislazuli o...). Ritirai la prima carta, come ritirerò la seconda. Se hai bisogno, potrò darti una terza carta. Questi differimenti cartacei mi fanno comodo nella presente siccità. Vedo che tu puoi amministrare facilmente la mia firma illustre. Ti abbraccio. Scrivo in fretta. 20/IX/1928 II Comandante Alberto Martini: «Ritratto della marchesa Casati» (Parigi, 1925 circa)