Attende l'Aids per avere aiuto di Amedeo Lugaro

Attende l'Aids per avere aiuto Il caso di Adriano Perboni: malato, ma non tanto da trovare sistemazione Attende l'Aids per avere aiuto Povero e senza casa, ma «solo» sieropositivo PAVIA. Sono 2 mila i sieropositivi che fanno capo all'ambulatorio della clinica malattie infettive del policlinico San Matteo di Pavia. Nella maggior parte dei casi si tratta di tossicodipendenti in cui l'Aids non si è ancora sviluppata e quindi nel loro caso non si può parlare nemmeno di terapia, ma di semplice controllo preventivo. Nel carcere di via Romagnosi a Pavia è stato accertato che il 60 per cento dei detenuti risulta essere sieropositivo. Spesso molti di questi sventurati vivono in un «mondo a parte», fatto di abbrutimento, solitudine e disperazione. Disperato esempio di questa emarginazione è certo Adriano Perboni, 29 anni, milanese d'origine. Ha iniziato a bucarsi a 16 anni, è stato in carcere e ora vive con l'incubo dell'Aids. «Ora non mi buco più — dice, mostrando le braccia scheletriche e a tratti bluastre —, non ho più vene dove infilare l'ago. Ora è peggio però, perché sono sieropositivo. L'ho anche attaccato a mia moglie. Ci siamo sposati un anno fa. Mio suocero mi ha buttato fuori e poi ci ha fatto divorziare, e così ho dovuto lasciarla. Io però le voglio ancora bene». Il volto, scarno, è incorniciato da una barba lunga e selvaggia. Gli occhi, arrossati, sono umidi di pianto appena contenuto. Fa freddo e l'aria è pungente. Ai piedi ha un vecchio zaino militare. Sulle spalle una coperta a scacchi. «Questa coperta e lo zaino — sottolinea — sono tutto quello che posseggo. Dormo dove posso. Ora fa troppo freddo per stare sotto i ponti. Alla stazione hanno chiuso tutti i vagoni. Ieri notte ho riposato in una cantina, ma al mattino mi hanno buttato fuori. Nessuno mi vuole. Sono stato per una decina di giorni ricoverato al Policlinico, ma poi anche da lì mi hanno buttato fuori. Mi sono rivolto alla comunità di don Boschetti, ma non mi hanno voluto. Ho fatto una settimana di prova anche in un'altra comunità fuori Pavia, ma è durato poco. Ora non so dove dormire. Ho freddo, fame. Se nessuno mi aiuta, è inutile che resti ancora vivo. E' peggio della morte — afferma —. Sopravvivo con l'elemosina e con qualche minestra dei frati di Canepanova. Sono troppo debole per lavorare. Ormai cammino con la morte accanto». «Adriano Perboni è seguito da noi da circa tre anni — dichiara il dottor Giorgio Barbarmi, responsabile dell'ambulatorio della clinica malattie infettive del San Matteo —. Si tratta di un sieropositivo in cui la malattia non si ancora sviluppata, e quindi le nostre strutture non possono tenerlo ricoverato. Lo abbiamo fatto per una decina di giorni — precisa il medico —, ma per effettuare una terapia di disintossicazione da droga. Il Perboni si era sentito male per una dose di eroina tagliata male. Noi, avendolo iscritto ambulatoriamente, lo abbiamo trattato con una terapia a base di metadone. Poi quando è stato meglio lo abbiamo dimesso, perché non potevamo giustificare una sua ulteriore degenza». Alla comunità di don Enzo Boschetti non hanno fatto alcuna discriminazione: «Non lo abbiamo preso solo per mancanza di posto — ha dichiarato il responsabile —. Da noi arrivano da ogni parte e tutti i giorni, e le strutture sono quelle che sono». Amedeo Lugaro

Persone citate: Adriano Perboni, Boschetti, Enzo Boschetti, Giorgio Barbarmi, Perboni

Luoghi citati: Pavia