L'Europa? Pluralista ma non troppo di Maria Teresa Martinengo

L'Europa? Pluralista ma non troppo Un convegno dell'Istituto «Jacques Maritain» sul confronto culturale e razziale nella Cee L'Europa? Pluralista ma non troppo L'integrazione avviene se al centro del dialogo è l'uomo TREVISO DAL NOSTRO INVIATO Europa, «vecchio continente» e terra di nuova immigrazione. Ma l'incontro e la convivenza di razze e culture distanti implica il riconoscimento della diversità ed il diritto reciproco alla differenza. Quali strade debba imboccare l'integrazione, la compenetrazione tra mondi poco comunicanti ha costituito il tema del convegno internazionale «Il nuovo pluralismo culturale e razziale della società europea» conclusosi sabato a Villa Albrizzi-Franchetti di Preganziol (Treviso). Al simposio, promosso dalla Provincia di Treviso e dall'Istituto internazionale «Jacques Maritain», hanno preso parte docenti universitari, esperti, rappresentanti di enti internazionali, associazioni e sindacati. Alle soglie del 1993, la riflessione sul fenomeno dell'immigrazione extracomunitaria diventa forzatamente un dovere comune ai «Dodici». Per affrontare in maniera costruttiva e proficua per tutti la condizione determinata dal pluralismo etnico in Europa si tratta di rivedere la strategia culturale dell'intera società: così hanno concordato Bill Alien, presidente della Commissione per i diritti civili degli Stati Uniti, Jacques Delcourt, docente dell'Università di Louvain-la-Neuve, il parlamentare comunista Diego Novelli. «La legge non basta — ha detto Delcourt —, il problema concerne la coscienza europea». Le soluzioni per favorire l'integrazione dipendono dagli indirizzi che gli autoctoni intendono dare alla politica sociale del proprio Paese. L'installazione dei nuovi immigrati è «durevole»: necessita di case, scuole, centri di formazione professionale. Si tratta quindi — hanno affermato in molti — di porre al centro dell'attenzione l'uomo con le sue'esigenze. Un intervento carico di spunti di riflessione sull'atteggiamento europeo (spesso scoraggiante) nei confronti delle politiche sociali è stato quello dell'ex ministro del Lavoro Franco Foschi, presidente delle Commissioni Affari Sociali e Migrazione del Consiglio d'Europa. «Il Parlamento Europeo — ha detto Foschi — esprime sui temi sociali attese sempre meno coincidenti con i vincoli posti dalle politiche dei rispettivi governi. L'Atto Unico Europeo contiene un "preambolo" certamente positivo, laddove impegna gli stati membri a "promuovere insieme la democrazia, basandosi sui diritti fondamentali riconosciuti nelle Costituzioni e nelle leggi degli Stati membri, nella convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nella Carta Sociale Europea. In particolare: libertà, eguaglianza e giustizia sociale". Quando però si passa all'analisi delle norme, allora ci si accorge che la filosofia dominante resta quella economica». Secondo Foschi, infatti, la «Carta Sociale» — meglio definibile come Dichiarazione politica — che i «Dodici» proporranno ai capi di stato il mese prossimo, cerca in sostanza di far dimen- ticare la «vera» Carta Sociale, quella approvata dagli Stati del Consiglio d'Europa a Torino nel 1961, assai più vincolante. L'Europa del 1993, sembra — lungi dal mettere al centro l'uomo — sempre più volta «all'esclusione di vaste aree sociali della cittadinanza con la cronicizzazione di vecchie povertà e la formazione di nuove. Si afferma l'egoismo della società "dei due terzi"». Come reagire? «La riforma più urgente — ribadisce Foschi — è un forte riorientamento culturale». Dalla tavola rotonda «Quale futuro per il pluralismo in Italia?», svoltasi a conclusione del convegno dell'Istituto «J. Maritain», sono scaturite indicazioni sull'atteggiamento che nel nostro paese caratterizza il dialogo con i cittadini provenienti dal Terzo Mondo. «11 problema non sono gli immigrati — ha detto Graziano Tassello, direttore del Centro Studi Emigrazione di Roma - , ma noi italiani. L'Italia affronta questa nuova realtà nel modo più disparato: dall'assistenzialismo alla I paura del terrorismo, al volon; tariato che fa miracoli. L'immi! grazione obbliga comunque a superare la mentalità dello staI to-nazione che si chiude nel I proprio benessere». Ma i peri, coli che ciò non avvenga — e | che anzi l'immigrazione, soprattutto se mantenuta in con| dizione di illegalità, se non co: nosciuta nella sua dimensione e nelle sue aspettative, alimenti una cancrena sociale consoli| data in parte del territorio na\ zionale — sono qualcosa di più i di un'ipotesi. Lo hanno detto, 1 esempi alla mano, Franco Pas; suello, vice presidente nazionai le delle Acli, e Mohamed Kivar, i responsabile dell'Ufficio straI nieri della Cisl di Torino: «Nel Nolano e nel Casertano, gli opcj ratori sindacali che si occupano dei diritti degli immigrati vengono minacciati. Da quelle parti, c'è gente che lavora per consentire agli affiliati della camorra di avere i contributi senza aver mai passato un'ora nei campi di pomodori». Maria Teresa Martinengo