ANCHE AI TEDESCHI FA BENE L'EUROPA
ANCHE AI TEDESCHI FA BENE L'EUROPA TROPPE PAURE PER L'UNIFICAZIONE ANCHE AI TEDESCHI FA BENE L'EUROPA ERNESTO Galli della Loggia ha scritto, a proposito dell'apertura delle frontiere tra le due Germanie, cose che molti hanno perfino paura di pensare. Prescindendo dall'entusiasmo di questi giorni, afferma che gli equilibri sorti con la fine della Seconda Guerra Mondiale sarebbero ormai non solo superati ma addirittura capovolti e che i tedeschi vinti si ritroverebbero di fatto vincitori. Risulterebbero egemoni in un'Europa sfuggita al controllo quarantennale di Stati Uniti e Unione Sovietica; avrebbero così ridimensionato entrambi i Paesi togliendo loro la patente di superpotenze. Scacco matto, dunque, in una sola, rapidissima mossa. Una tesi così radicale merita una considerazione attenta. Se è fondata, non essendo la Germania una potenza nucleare, le prove del nuovo potere tedesco dovranno risultare chiaramente non già sul piano militare bensì prevalentemente sul piano economico. E al di là del crescente peso relativo, in termini quantitativi, dell'economia tedesca nel contesto europeo, vi sono certo numerosi indizi di un aumento della «capacità di comando» della Germania, ossia di una maggiore importanza qualitativa. A partire all'inarca dal 1985, l'industria e la finanza tedesco-occidentali si sono profondamente riorganizzate all'interno ed espanse all'estero, raggiungendo spesso posizioni nettamente dominanti. E' sorta, infatti, una concentrazione senza precedenti in campo meccanico-bellico-aeronautico che fa capo alla Daimler-Aeg; la Siemens è l'unico gruppo europeo in grado di contrastare veramente i giapponesi nell'elettronica di base; in settori distantissimi tra loro come l'editoria e la chimica, imprese tedesche hanno raggiunto la suprema- zia mondiale acquistando società americane. La Deutsche Bank è divenuta la prima banca europea a dimensione veramente continentale con una serie di acquisizioni all'estero e la stessa cosa sta facendo il gruppo Allianz nelle assicurazioni. La stessa politica di stabilità dei cambi all'interno dello Sme, voluta essenzialmente dalla Banca centrale tedesca, ha tenuto basso il valore del marco e favorito così le esportazioni tedesco-occidentali. Ne sono risultati un colossale e crescente attivo commerciale e un altrettanto colossale incremento delle riserve valutarie tedesche che il governo di Bonn può gettare sulla bilancia del confronto tra Occidente e Oriente, magari finanziando la rinascita industriale della Repubblica Democratica Tedesca. Questi elementi economici non bastano, però, ad avvalorare la tesi di un capovolgimento della situazione. Essa pare infatti alquanto forzata se dalla Germania si sposta l'attenzione al resto dell'Europa. L'irrobustimento tedesco sta infatti avvenendo nell'ambito del più generale irrobustimento di un'Europa di cui la Germania stessa è parte, a spese soprattutto della presenza industriale e finanziaria americana. La seconda metà degli Anni Ottanta, se ha visto emergere la supremazia tedesca in alcuni settori, ha visto in altri il consolidamento di intese franco-tedesche, in altri ancora una supremazia francese o anglo-francese, oltre a un ruolo non piccolo di imprese italiane, olandesi, svedesi. A differenza degli Anni Quaranta, l'attuale forza tedesca dipende da questa rete di accordi di mutuo vantaggio, non da una supremazia militare, dall'occupazione e dalla spogliaMario Deaglio CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA
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