E' finita la boxe dei miracoli

E' finita la boxe dei miracoli Dopo le amare sconfìtte di Stecca e Rottoli cresce l'allarme per questo sport in Italia E' finita la boxe dei miracoli Da poco più di2000 tesserati non si può pretendere altro Già un successogli ori olimpici e il rispetto internazionale Allarme rosso per il pugilato italiano, dopo le contemporanee sconfitte di Maurizio Stecca e di Angelo Rottoli che ci sono costate il titolo mondiale dei pesi piuma, versione Wbo, e la corona europea dei massimileggeri. Questa l'impressione di quanti seguono il pugilato solo come fenomeno televisivo sempre attestato su quozienti di «audience» altissimi. Per gli addetti ai lavori invece questa duplice sconfitta non altera molto una situazione di crisi latente che va avanti da anni senza miglioramenti ma anche senza apprezzabili peggioramenti. Diceva La Palisse che «il malato un minuto prima di morire era ancora vivo». Ebbene, la boxe italiana è sempre a quel punto lì, le manca quel minuto per morire ma non morirà mai, tanto più che le vicende del professionismo, legate agli umori delle quattro botteghe — inutile coprirsi gli occhi, i quattro organismi mondiali non sono altro che centri di affari, a volte della più squallida specie — possono riservare periodi positivi che non corrispondono alla situazione reale. Dopo il duplice disastro di Stecca e di Rottoli si può semmai ammettere che il tempo dei miracoli è finito e che il pugilato professionistico italiano si sta avviando ad un ridimensionamento di natura fisiologica, proporzionato alla potenzialità. Che cosa si può pretendere da un movimento sportivo che ha globalmente poco più di duemila tesserati e non più di duecento professionisti? Che uno sport così povero di materiale umano riesca, ogni quattro anni, a sfornare una medaglia d'oro alle Olimpiadi — Maurizio Stecca dopo Oliva, Giovannino Parisi dopo Stecca — è già un miracolo, come è un miracolo la presenza di due nomi italiani (erano tre, con Stecca) nel plotone dei 68 campioni del mondo varati globalmente dalle quattro «botteghe» ed una massiccia presenza di nostri pugili nella lista dei campioni d'Europa. La situazione potrebbe anche peggiorare, senza per questo alterare il giudizio di sintesi sul pugilato italiano; anzi peggiorerà senz'altro, visto che la perestrojka apre le porte del professionismo anche ai sovietici che, col loro enorme materiale umano, restringeranno ancora le nostre possibilità. Ed il discorso vale, a livello mondiale, anche per gli Usa, che hanno 10 mila pugili in attività ogni settimana, mentre noi, si e no, riusciamo a farne combattere dieci. Soprattutto in conseguenza di questa valutazione globale del posto dell'Italia nel mondo pugilistico, Umberto Branchini, manager di Maurizio Stecca, ha preso molto male le critiche del «dopo» alla scelta del troppo forte Louie Espinoza — una scelta che l'anziano manager ha subito, più che proposto — ed ha annotato amaramente la mancanza di coerenza di un ambiente in cui la memoria si dimostra sovente inversamente proporzionale all'effettiva conoscenza della materia. «Mi addolora — ci ha detto Branchini al telefono — il fatto di trovarmi sotto accusa quando chi, a suo tempo, diresse con molta astuzia ma col minimo dei rischi la carriera di pugili come La Rocca ed Oliva, fece la figura del gran furbo. Senza troppe colpe, mi sono trovato a subire la figura contraria». «Non abbiamo né Tyson, né Léonard, né Azumah Nelson, né Julio Cesar Chavez. Abbiamo soltanto dei buoni pugili, come Stecca, Damiani ed altri che verranno, ed è nostro dovere amministrarli al meglio, por¬ tandoli con avvedutezza ai massimi traguardi possibili. Purtroppo a volte ci sono ostacoli imprevisti». Branchini allude non solo alla scelta di Espinoza, ma anche a qualche misteriosa crepa psicologica che ha indotto Stecca ad essere più remissivo di quanto ci si attendesse da un campione del mondo che difende il titolo. «In palestra Maurizio è un fenomeno — dice Branchini — mi aspettavo di più da lui, forse è successo qualcosa che non so». La lezione di Stecca è servita però al vecchio Branchini per affidarsi ancora all'istinto del buon senso nel scegliere l'avversario di Damiani per la prossima difesa del titolo mondiale dei massimi Wbo, prevista per il 16 dicembre ad Aosta oppure in Emilia. I mass-media volevano un grande nome, come Michael Dokes o altri, col potenziale rischio di un bis della fatale Rimini. Il vecchio manager ha scelto invece l'argentino Daniel Netto, imbattuto campione nazionale dei massimileggeri, 18 vittorie ed un pareggio, raccomandati ssimo da Tito Lectoure che — Monzon insegni — non ha mai tirato bidoni all'Italia. «E' un buon tecnico — commenta Branchini — ma non mi risulta che sia un picchiatore. Credo di agire nell'interesse del mio pugile». Come dargli torto? Gianni Pignata li manager Umberto Branchini sotto il fuoco delle critiche dopo il ko di Stecca gli italiani NEL MONDO E IN EURO PA MONDO EUROPA Pesi paglia — non ric. Minimosca non ric. Mosca — Gallo Belcastro Piuma Superpiuma — LeRgeri — — SuperleRgeri Calamati Welters La Rocca Superwelters Rosi (Ibf) Leto . Medi Dell'Aquila Mediomassimi Massimi-leRgeri — — Massimi Damiani (Who)

Luoghi citati: Aosta, Emilia, Europa, Italia, Mosca, Rimini, Usa