La Cee rinvia la chiusura di Bagnoli di Fabio Galvano
La Cee rinvia la chiusura di Bagnoli Faticoso compromesso dopo mesi di trattative, per l'Italia un parziale successo La Cee rinvia la chiusura di Bagnoli La scadenza slitta a fine '90, strada spianata per Ulva BRUXELLES dal nostro corrispondente Bagnoli dovrà chiudere, ma i tempi slittano. Quando pareva che non ci fossero più spazi di manovra, la vicenda dell'area a caldo dello stabilimento partenopeo si è risolta ieri con un compromesso: la nuova scadenza, fissata dai ministri dell'Industria dei Dodici, è il 31 dicembre 1990. Respinta la richiesta italiana di condizionare la chiusura a una crisi del mercato siderurgico, i partner hanno concesso una proroga di 18 mesi rispetto alla scadenza originale (il 30 giugno scorso) e di 9 mesi anche rispetto alla proposta di dilazione (31 marzo 1990) già approvata dai ministri al loro ultimo incontro. Ma al tempo stesso si salva l'esigenza di far rispettare gli impegni assunti a dicembre dall'Italia, nel quadro dei tagli che erano la contropartita agli aiuti di Stato (5170 miliardi) necessari per ripianare le perdite Finsider. La decisione, accolta con soddisfazione dal ministro per le Partecipazioni statali, Carlo Fracanzani, è stata raggiunta grazie a un compromesso della presidenza francese (il ministro Roger Fauroux) e contatti diretti tra Fracanzani e il commissario Cee per gli aiuti di Stato, Sir Leon Brittan. Ma fin dalle prime battute è parso chiaro che non ci sarebbe stato un altro appuntamento per Bagnoli, che quello di ieri era davvero lo scontro finale. La decisione unanime (Germania e Olanda hanno subordinato il loro sì all'approvazione da parte dei rispettivi governi ma è solo una formalità) impegna l'Italia a «non fare altre proposte per un'estensione della data». Una condizione che non è parsa né fastidiosa né umiliante a Fracanzani, chiamato dalle insistenze del ministro degli Esteri, De Michelis, a ridiscutere un capitolo già chiuso. Grazie all'accordo raggiunto, si spiana l'operazione FinsiderIlva. I due terzi degli aiuti, cioè circa 3440 miliardi, potranno essere versati (in realtà sono già a bilancio) tra pochi giorni; la rimanenza a operazione ultimata, cioè a fine 1990. Soprattutto sfuma la minaccia di una procedura d'infrazione contro l'Italia, che sarebbe stata l'unica via percorribile in assenza di un accordo. Per quanto riguarda gli effetti sull'occupazione, la decisione di ieri si tradurrà dal 1991 nella perdita di mille posti, destinati però ad essere completamente riassorbiti dal vasto programma di reindustrializzazione per l'area napoletana. Fracanzani, che lunedì sera aveva avuto un infruttuoso incontro con Brittan, ha avviato la sua lunga giornata presentando il piano dell'Italia: la chiusura dell'area fusoria di Bagnoli (la sopravvivenza del laminatoio non è mai stata messa in discussione) non a una data fissa ma subordinata a una crisi del mercato di almeno il 15 per cento rispetto alla media mensile dell'ultimo semestre 1988. La maggiore obiezione sollevata da Brittan è stata che nel primo semestre '89 la produzione è aumentata di un altro 7 per cento; quindi che la chiusura di Bagnoli sarebbe avvenuta soltanto dopo un crollo (22 per cento) del mercato siderurgico.. Solo Spagna e Grecia hanno apertamente appoggiato l'Italia. Tutti gli altri, in modo più o meno esplicito, hanno chiesto che tale ipotesi fosse respinta, che si fissasse una data definitiva. Qualcuno (il Belgio, il Portogallo, la Francia) ha suggerito flessibilità; ma altri — in prima linea Germania, Olanda e Gran Bretagna — hanno insistito per la linea del rigore. Ma alla fine proprio da questi Paesi è venuta la spinta più valida al compromesso della presidenza francese. E' stato il ministro inglese Hogg a suggerire una proroga di due o tre mesi. Poi i tedeschi, davanti alle insistenze degli italiani, hanno fatto la data del 31 agosto, infine quella del 31 dicembre. Oltre, per la Germania, era impossibile andare. In quella data, infatti, dovrà essere chiù- so l'impianto siderurgico tedesco di Rheinhausen, nella Ruhr: impensabile se in quel momento Bagnoli fosse ancora aperto. Alla fine Fracanzani ha accettato. «Di fatto — ha poi spiegato — quella data equivale al collegamento con il mercato che noi avevamo proposto. I dati indicano un'inversione di tendenza del mercato, che si accentua sempre più, e forse la nostra stessa formula non ci avrebbe consentito di andare oltre». Il ministro non ha dubbi che quella di Bagnoli sia stata una battaglia vinta: «Eravamo partiti nel giugno '88 con l'ipotesi di una chiusura dell'intero stabilimento: prima abbiamo salvato il laminatoio, sia pure con una ristrutturazione che è costata 2300 posti, poi percorrend ; una strada in salita abbiamo dato più fiato all'area a caldo». Fabio Galvano <=> IO 1988 i pili PPM ■il ìflìlli PRODUZIONE DI ACCIAIO GREZZO MIGLIAIA DI TONNELLATE I ■ 1987 cm e cm cm IT^IIIÌIIèf GERMANIA ITALIA REGNO UNIT0 FRANCIA SPAGNA BELGIO OLANDA LUSSEMBURGO GRECIA P0RT0GALL0 DANIMARCA IRLANDA PRODUZIONE DI ACCIAIO GREZZO MIGLIAIA DI TONNELLATE
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