Il Brasile diventa maggiorenne

Il Brasile diventa maggiorenne Prima tornata delle presidenziali: favorito il candidato di destra, divisa la sinistra Il Brasile diventa maggiorenne Dopo 25 anni, si vota con i generali in soffitta Programmi mal definiti, poche idee a fronte dei troppi problemi, primato della politica sul tecnicismo di chi offre ricette per uscire dalla crisi, strizzatine d'occhio ai nemici storici, ambiguità per poter attingere ai serbatoi da cui sgorgano i voti degli avversari. Lasciando queste sensazioni e facendo sorgere più dubbi che certezze j nella mente degli elettori, domenica scorsa, a mezzanotte, è calato il sipario sul carnevale elettorale del Brasile. Oggi il voto. Un Paese giovane con una popolazione di 140 milioni di abitanti, tanto giovane da invitare alle urne i sedicenni, si spoglia, dopo 25 anni, della tutela dei militari, saliti al potere nel 1964 con un golpe. Negli ultimi 5 anni il Brasile è vissuto in una sorta di stanza di decantazione, con cinque generali a fungere da filtro in altrettanti ministeri. Ma ora, senza porre condizioni, i generali sembrano ritirarsi in buon ordine. Il ministro dell'Esercito, il generale Leonidas Pirés Goncalves, ha più volte ripetuto che «l'eletto, chiunque sia, sarà insediato regolarmente». La festa della democrazia, della politica senza più manette, sarà celebrata il 15 marzo prossimo, dopo lo scontro definitivo, il 17 dicembre, tra i due candidati usciti vincitori dal primo turno di oggi. Sulle schede elettorali appaiono i nomi di 22 aspiranti alla conquista di Planalto, il palazzo presidenziale. Buona parte puramente folkloristici. Dopo la bocciatura, da parte del Tribunale elettorale, della candidatura di Silvio Santos, una sorta di Berlusconi brasiliano, la cerchia dei possibili presidenti sembra ristretta a quattro nomi: Fernando Collor de Mello, «Lula», nome di battaglia di Luis Ignacio da Silva, Leonel Brizola e Mario Covas. Tutti e quattro, salvo forse «Lula», fondatore nel 1979 del Partito dei lavoratori, hanno mischiato le loro carte politiche in modo tale da rendere difficile l'individuazione di un programma ben definito. I sondaggi danno quasi per certo il passaggio al prossimo turno di Collor de Mello, un quarantenne rampante, figlio d'arte e, come Bush e Meném, amante quasi maniacale di ogni sorta di sport. Figlio e nipote di politici, nel 1986 fu eletto governatore dello Stato di Alagoas nelle file del Movimento democratico, che poi abbandonò per fondare il Partito della ricostruzione nazionale. E' indubbiamente uomo della destra, ma a molti conservatori non piace e i militari lo giudicano una mina vagante perché ha dichiarato che il suo sarà un governo di ampie vedute, pronto a collaborare con i comunisti. Il suo populismo, ostentato, ma certamente con un fondo di verità, fa ricadere su di lui, secondo i sondaggi, il 27 per cento dei suffragi. La destra lo voterà turandosi il naso: «E' il male minore». Con il 15 per cento a testa dei voti presunti, lo inseguono ;.Lula» e Brizola. Il primo, quaran¬ taquattro anni, è uomo del Nord-Est, da dove attinge i voti promessi dai sacerdoti della «teologia della liberazione», e leader sindacale molto ascoltato. Mentre tutti gli altri candidati hanno adottato una linea morbida sul problema dell'indebitamento estero, il capo del Partito operaio non esclude una moratoria unilaterale e l'esproprio dei latifondi. Nell'ultimo dibattito televisivo con Brizola, con cui divide i voti della sinistra, erano volate pungenti frecciate e addirittura insulti. Secondo gli osservatori, nel campo progressista non sarà facile un accordo per sconfiggere Collor de Nello nella seconda tornata elettorale. Brizola, decano tra i candidati (ha 67 anni), si rifa all'immagine di Getulio Vargas, il Perón brasiliano che governò in forma dittatoriale fra il 1930 e il 1945 aprendo alle masse lavoratrici con alcune misure socia¬ li. E' un moderato di sinistra, vicepresidente dell'Internazionale socialista, da molti ritenuto un socialdemocratico per cui la politica è tutto, l'inflazione e i tassi di interesse un problema da affrontare in un secondo tempo. A chi gli ha chiesto quale fosse il suo programma ha risposto: «I programmi sono sempre tecnocratici». Alle tre prime donne della competizione elettorale si aggiunge poi Mario Corvas, di formazione socialdemocratica, portabandiera di un capitalismo moderno, aperto alla concorrenza, propenso ad abbattere ogni barriera doganale, convinto che un migliore sfruttamento delle risorse del Brasile consentirà il grande balzo del Paese e il benessere della popolazione. In questo, Corvas si distingue dagli altri partiti progressisti che propongono uno Stato forte, nazionalista, chiuso al capitale straniero. Dalla pic¬ cola borghesia industriale, che chiede protezionismo, è sicuramente mal visto. Tra mille incertezze, tra candidati impreparati e sottovalutazione dei problemi, il Brasile sembra però avere ben in mente quali siano le condizioni per la democrazia. Mentre in Perù per le elezioni amministrative centinaia di persone sono cadute nelle imboscate dei terroristi e le truppe hanno dovuto presidiare l'intero Paese per consentire il voto, nelle megalopoli di questo subcontinente latinoamericano, nelle favelas dove nessuno si avventurerebbe per una passeggiata, il rituale democratico si è svolto senza incidenti. Tra i colori, il ritmo e gli eccessi della campagna elettorale, il battesimo del voto per buona parte dei brasiliani è costato infinitamente meno del carnevale di Rio. Pier Luigi Vercesi j Luis Ignacio da Silva, «Lula», leader del Partito dei lavoratori, e principale candidato della sinistra brasiliana

Luoghi citati: Brasile, Perù