Kohl; «Unità, ma senza baratri» di Alfredo Venturi

Kohl; «Unità, ma senza baratri» Il leader tedesco rassicura gli alleati occidentali (e allarma gli ospiti polacchi) Kohl; «Unità, ma senza baratri» // Cancelliere esclude una Germania neutrale BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Noi rivendichiamo un ordine di pace in Europa, che sia giusto e durevole, e all'interno del quale il popolo tedesco, disponendo liberamente di se stesso, recuperi la sua unità». Per i professori dell'Università polacca di Lublino, che avevano appena concesso a Helmut Kohl la laurea ad honorem, il discorso del neo dottore non è stato proprio di quelli tradizionalmente soporiferi che si usano in queste circostanze. Parlare in Polonia di unità tedesca è qualcosa che può anche mettere i brividi all'uditorio. Anche se il Cancelliere premette che non sarà una soluzione «finlandese»: non intendiamo, dice Kohl, barattare l'unità con la neutralità, resteremo saldamente a Ovest. Questo vuol essere un segnale tranquillizzante, ma certo lo è più per gli alleati che per i polacchi. Anche se la stampa di Varsavia ha registrato con soddisfazione, come «un passo nella giusta direzione», il recente impegno solenne, votato dal Bundestag, al riconoscimento definitivo della linea Oder-Neisse che segna il confine occidentale del Paese. Il fatto è che quell'impegno il Cancelliere non vuol saperne di inserirlo, come chiedono i polacchi, nella dichiarazione congiunta che oggi sarà pubblicata a conclusione della visita. E' il nodo principale fra i due governi: Kohl rifiuta l'inclusione del documento perché esso implica un impegno che travalica la Repubblica Federale. E che coinvolge precisamente quella creatura indistinta e per molti preoccupante che sta in fondo al discorso di Lublino. Mentre Kohl allarma i polacchi, il suo ministro degli Esteri cerca di rassicurare tutti. Insistendo su un punto che del resto condivide con il Cancelliere, Hans-Dietrich Genscher sottolinea la saldezza dell'ancoraggio occidentale della Germania. Quanto all'unità, gli avvenimenti in corso nella Repubblica Democratica, dice Genscher, dimostrano che esiste «una sola nazione tedesca». Basta confrontare la formulazione del ministro degli Esteri con quella del Cancelliere per scorgere l'ambiguità di fondo che caratterizza il dibattito in corso sulla questione tedesca. Unità per Genscher è qualcosa che esiste di fatto, dunque che prescinde tanto dall'esistenza di due distinti Stati tedeschi quanto dalla loro eventuale fusione. Unità per Kohl è un obbiettivo per il futuro, qualcosa da recuperare, che modificherà dunque l'assetto attuale. Sulla spinosa questione ieri è intervenuto anche Willy Brandt. L'ex cancelliere è por¬ tatore di una visione evolutiva: «L'unità delle due Germanie si farà, in una forma che preferisco lasciare ancora aperta». Anche Brandt lancia un segnale tranquillizzante: «Nulla sarà più come prima, noi non torneremo alle forme statuali che sono esistite in passato sul suolo tedesco». Che cosa esclude dunque Brandt, a parte il Sacro Romano Impero e il Terzo Reich? Esclude, implicitamente, la prospettiva di una fusione pura e semplice dei due Stati tedeschi, affacciando in controluce quell'idea confederale che da qualche tempo affascina i politologi della socialdemocrazia. Genscher, Brandt e altri considerano invece prematura la conferenza a sei proposta da Guenter Gaus, che dovrebbe unire attorno a un tavolo le quattro potenze alleate e i due Stati tedeschi. In un secondo tempo, la conferenza andrebbe allargata a tutti i Paesi centroeuropei. Gaus, un esperto di questioni intertedesche che ha guidato a lungo la rappresentanza permanente della Repubblica Federale a Berlino Est, dice che il momento chiama in causa la responsabilità delle quattro potenze, che dovrebbero porsi l'obbiettivo di un'entità confederale in Europa in cui si possano collocare e sviluppare le relazioni fra i due attuali Stati tedeschi. Un altro esperto di questioni Est-Ovest, il socialdemocratico Egon Bahr, ha invece salutato con favore l'iniziativa di Gaus: una conferenza dei Quattro, dice Bahr, sbarazzerebbe definitivamente il campo dai «vecchi resti dell'epoca dell'occupazione». La cronaca sembra frattanto escludere quella «riunificazione di fatto sul suolo della Repubblica Federale» che Kohl aveva a suo tempo denunciato come inaccettabile. Il temuto travaso di popolazione dall'Est all'Ovest non si è verificato. La Croce rossa fa sapere che un certo numero di emigrati manifesta l'intenzione di tornare indietro, e alcune centinaia lo hanno già fatto. Perché lo fanno? Le motivazioni sono tre, nell'ordine: nostalgia del luogo d'origine, della famiglia, degli amici; delusione per la difficoltà di trovare alloggio e lavoro nella Repubblica Federale; speranza che le cose nella Repubblica Democratica possano davvero cambiare. Cambieranno davvero? L'economia federale s'interroga in questi giorni sulla possibilità di avviare il grande salvataggio dell'Est. Sono in gioco decine di miliardi di marchi, ma ci sono certe condizioni preliminari da soddisfarsi: riforma economica, nuova moneta preceduta da una drastica svalutazione, nuova legge sulle società miste. Alfredo Venturi Un soldato della Germania Est fa capolino da una breccia nel Muro di Berlino