Modrow, un provinciale che ha sedotto il Cremlino di Enrico Benedetto
Modrow, un provinciale che ha sedotto il Cremlino Modrow, un provinciale che ha sedotto il Cremlino //popolare neo-premier lancia la «via sassone al socialismo» Invece di riforme, propone un «rinnovamento rivoluzionario» Hans Modrow, 61 anni, neopremier della travagliatissima Germania Est, ora dovrà rassegnarsi all'auto blu e a una dorata residenza ufficiale. Sinora, malgrado fosse il massimo dirigente comunista in Sassonia, le aveva rifiutate entrambe preferendo una normalissima Lada (made in Urss) e tre camere più servizi nei casermoni dell'edilizia popolare. Il suo credito fra i cittadini tedesco-orientali nasce anche da questa coerenza, unita a una notevole simpatia umana. Modrow — «Hansi» come viene affettuosamente chiamato — è infatti, nel giudizio popolare, uomo franco, aperto, libero dalle tante mafie o cordate fra Gauleiter per inseguire profitti, onorificenze, vantaggi. Ma il nuovo primo ministro ha dalla sua qualcosa in più. E' l'uomo di Gorbaciov nel Paese che solo in ottobre censurava la stampa sovietica, inviso all'establishment stalinista e ai suoi docili media. «Neues Deutschland», il tabloid organo del pc, gli aveva più volte rimproverato uno «scarso impegno di massa», vale a dire idee eterodosse su pluralismo e riforme. Le masse, a dire il vero, lo idolatrano: «Modrow, Modrow» risuona da settimane nelle manifestazioni insieme con «democrazia», «elezioni subito». Lui ha saputo ripagarle accettando il dialogo con i manifestanti in periodo non sospetto. Non solo: per primo è sceso tra la folla, accolto da alcuni fischi subito divenuti applausi quando ha promesso la «revolutionierende erneuerung», un rinnovamento più poderoso della «Wende» ufficiale. Così nessuno ha ironizzato sulla designazione. Neppure l'irridente cantautore Udo Lindemberg, quello che definì il neo-eletto Krenz «una dentiera ghignante». La gente sa che Modrow — arruolato a forza nel «Volksturm» nazista quando aveva 17 anni e rimasto sino al '49 nelle carceri sovietiche per quella brevissima militanza — non loda Mosca per opportunismo o quieto vivere come i suoi predecessori. Adesso che da eroe popolare — quasi alla Yeltsin — deve improvvisarsi uomo d'apparato, gli torneranno utili i lunghi anni trascorsi come dirigente nell'organizzazione giovanile, ma anche l'esperienza di economista (si laureò nel dopoguerra, dopo una giovinezza operaia). Il suo vero punto di forza, tuttavia, è una solida base territoriale. Modrow, nato in Pomerania, ha saputo infatti naturalizzarsi a Dresda finendo con il diventare l'alfiere della «via sàssone al socialismo». In una Ddr che troppo spesso ha discutibilmente sacrificato risorse per la sua capitale-vetrina, questa città è riuscita a incarnare opzioni diverse: nessun urbanesimo gigantista, ma ricostruzione meticolosa dei palazzi rasi al suolo dai bombardamenti alleati nel febbraio '45, molti fondi alla cultura, timori ecologici per l'Elba che traversa già inquinata le architetture cittadine. Nell'87, mentre Lipsia, Halle, Rostock inviavano lavoratori a Berlino per abbellirla in vista del 750° compleanno, Dresda rifiutò: «Prima miglioriamo le cose da noi, poi ci occuperemo degli altri», fece sapere Modrow. Anticonformista — ma vincente — anche la sua idea di sviluppare nella periferia Sud le tecnologie elettroniche: se oggi la Ddr sforna personal computer (costano, va detto, 24 volte più di quelli giapponesi) lo deve anche al neo-premier. Così l'orgogliosa Sassonia — già fulcro della Riforma nel primo Cinquecento, ma poi vassalla all'egemonia prussiana — risolleva la testa dopo avere lungamente mugugnato contro il centralismo berlinese. E, a sentire gli analisti, il profilo di Modrow — labbra esili, sguardo penetrante — può divenire quello della nuova Germania. Enrico Benedetto
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