«Acna, o riapre subito o mai più»

«Acna, o riapre subito o mai più» Il presidente Necci spiega perché il gruppo sta pensando di abbandonare Cengio «Acna, o riapre subito o mai più» Ultimatum dell'Enimont: si decide entro il21 MILANO. «L'Acna è morta se non riparte subito». Lorenzo Necci, presidente di Enimont, convoca i giornalisti nel pomeriggio per avvertire «l'opinione pubblica e il governo che si può risanare solo quello che può vivere economicamente». E oggi la fabbrica chimica di Cengio, diventata il simbolo della difficile coesistenza tra industria e ambiente nel nostro Paese, è bloccata: non produce, non vende, perde dieci miliardi al mese. Le parole di Necci assomigliano a un ultimatum: «Siamo a una svolta, se l'Acna riaprisse domani ci sarebbero ancora le condizioni economiche per tenerla in vita, altrimenti non ha più alcun senso industriale continuare, perdiamo i mercati esteri che vengono occupati dai nostri concorrenti». Ci sono davvero le condizioni per una riapertura veloce, in tempi stretti, dello stabilimento di Cengio? In questo momento pare proprio di no. I lavori di costruzione del muro di contenimento del percolato non sono terminati, si sospetta la presenza di diossina, ma, soprattutto, c'è una mozione votata dalla Camera che impegna il governo a non consentire la ripresa della produzione a Cengio fino a che non sarà collaudata la sicurezza degli impianti e accertato il rispetto di numerosi vincoli. Non si capisce, dunque, come al momento la fabbrica possa ripartire e tornare in condizioni di normalità operativa. In effetti l'impressione è che i vertici di Enimont vogliano mandare un messaggio al governo e ai dipendenti della fabbrica contestata, un avvertimento su provvedimenti drastici che stanno per arrivare e che probabilmente sono già maturati. «La prossima settimana gli amministratori dell'Acna di Cengio ci sottoporranno le loro valutazioni — spiega ancora Necci — poi toccherà agli azionisti, a Enimont, decidere cosa fare. Il 21 novembre è convocata l'assemblea dei soci». Cosa bisogna decidere? «L'Acna ha consumato il suo capitale sociale, quindi per proseguire la sua attività deve procedere a una ricapitalizzazione: vedremo i programmi della società, se ci conviene andare avanti oppure no. Prenderemo responsabilmente le nostre decisioni». Più chiaramente significa che se Enimont non ricostituisce il capitale dell'Acna quest'ultima è destinata a cessare definitivamente l'attività e successivamente sarà posta in liquidazione. Se Cengio chiude quali saranno le conseguenze per Enimont? «I patti parasociali costitutivi di Enimont ci garantiscono completamente sul piano finanziario sia per l'Acna, sia per Manfredonia. Ma chi perde, davvero, è la chimica italiana, il Paese». Il presidente del più grande gruppo chimico italiano rileva che per Cengio il problema «non è la fabbrica che dispone di tecnologie avanzate, detiene la leadership mondiale nel suo settore e potrebbe ripartire immediatamente; i problemi sono il passato, i cent'anni di storia dell'azienda, lo scarico di materiali nel sottosuolo». «Dobbiamo risanare il passato, ma senza rischiare di ammazzare il presente» insiste. E la diossina? «Ripeto quanto abbiamo già detto: non ci risulta l'esistenza di diossina. Ma se, per caso, ci fosse la diossina, questo riguarda il passato, non l'Acna di oggi». Necci spiega che in ogni caso, con l'Acna chiusa o aperta, bisogna intervenire sul territorio, ma è chiaro che se la fabbrica dovesse cessare definitivamente la produzione, la società non continuerebbe le opere di risanamento: «Non vogliamo restare col cerino in mano dopo aver fatto tutto il nostro compito, è ancora da stabilire chi dovrà gestire il percolato, toccherà agli avvocati e alle leggi dire cosa accadrà». Ricorda poi che Enimont ha la responsabilità della fabbrica solo da giugno, quando Montedison ed Eni hanno effettuato i conferimenti industriali alla joint venture. «Ma, in precedenza, il 5 maggio — aggiunge Necci — abbiamo firmato con il ministero dell'Ambiente Ruffolo un accordo con il quale ci siamo impegnati a realizzare investimenti per tremila miliardi per l'ambiente e siamo andati ben oltre a quello che prevedeva la legge. Per l'Acna avevano previsto investimenti per centodieci miliardi poi diventati centocinquanta e stiamo lavorando a spron battuto». Con il ministro Ruffolo, l'Enimont si era impegnata a risolvere i casi dell'Acna e di Manfredonia (un altro impianto bloccato), ma la complessità dei problemi, le tensioni sociali, la mancanza di regole precise, hanno provocato dei ritardi. La questione, a questo punto, non è comunque limitata a uno o pochi impianti chimici: il problema vero è se ci può essere in Italia una chimica pulita, rispettosa dell'ambiente, e, nello stesso tempo, capace di produrre reddito e posti di lavoro. Necci si lamenta dell'assenza di un quadro legislativo di riferimento: «Occorrono regole certe, poteri attuativi sicuri e non contraddittori, è inutile fare processi». Il caso Acne è il più clamoroso, ma non l'unico. Necci ricorda, infine, lo stabilimento di Manfredonia: «Ci hanno dato la responsabilità di aver provocato la morte di tartarughe e delfini... abbiamo nostrato che non è colpa de^.i scarichi, distanti decine di chilometri, perfettamente regolari secondo la legge. Ma da più di un anno ci troviamo con un impianto moderno, avanzato, in cui non possiamo produrre. Tutto a vantaggio dei nostri concorrenti». Rinaldo Gianola Sono già trecento (su 780 dipendenti) gli operai dell'Acna che hanno aderito alla manifestazione di protesta di lunedì, a Milano