Ayqla: «Distrutta la mia vita» di Francesco La Licata
Ayqla: «Distrutta la mia vita» Il giudice amareggiato dopo la decisione del Csm di trasferirlo da Palermo Ayqla: «Distrutta la mia vita» «L'indagine che doveva essere segreta ha portato sui giornali fatti intimi della mia famiglia» «1 miei figli sono stati feriti dall'effetto pubblicità di molte cose mai dette a verbale» ROMA. «No, non contesto al Csm il diritto-dovere di indagare anche sulla vita privata dei magistrati e quindi di aver svolto accertamenti sulla mia. L'indagine è stata condotta nella sede competente ed istituzionale. Una sede, però, che dovrebbe essere caratterizzata dalla segretezza; dico dovrebbe, perché così non è stato. A me è toccato di dover leggere su alcuni giornali fatti e particolari intimi della mia vita. Ho sentito una sensazione di impotenza, di fronte alla impossibilità di poter frenare lo scempio che si faceva della mia immagine, anche dei miei affetti». Ayala sorride amaro, ha il tono pacato di chi è convinto di aver perso per aver combattuto contro un nemico, in un certo senso, invincibile perché sfuggente. Lui non lo dice, ma quel «nemico» si identifica nella «ragion politica». Non sembra bruciargli la sconfitta. Ciò che non gli dà pace è il «modo». «E' incivile, e le colpe non sono dei giornali, l'uso che è stato fatto delle notizie che mi riguardano. Che grande amarezza — si sfoga il "grande accusatore" di Cosa Nostra — quando, letti gli atti del Csm, ho scoperto che molte delle cose che i giornali attribuivano a chi mi ha coinvolto, non erano mai state dette a verbale. Ma finivano negli articoli, sapientemente ispirati». Da chi? «Evidentemente da qualche mio collega». Il magistrato ha deciso di trascorrere a Roma qualche giorno. «Sto approfittando per scaricare la tensione e godermi un po' di libertà senza scorta». Centinaia le telefonate, dalla Sicilia e da mezza Italia. I figli? «Sono preoccupati. Mi chiedono se sto davvero bene o se glielo dico solo per rassicurarli». I ragazzi, Paolo, Vittoria e Carla, sono forse quelli più colpiti dall'effetto-pubblicità. «Per questo — ribatte Ayala — una maggior sensibilità del Csm, maggior rispetto della privacy, specialmente sotto il profilo della divulgazione di notizie destinate a rimanere riservate, mi avrebbero risparmiato qualche problema. In Italia le ripre¬ se tv di imputati in manette hanno provocate proteste e polemiche. A me non hanno messo le manette, ma un organo di rilevanza costituzionale, o meglio alcuni suoi componenti, non hanno esitato ad affidare ai mass-media un trauma che doveva essere mio e dei miei familiari». Quello della vita privata violata è forse il prezzo più alto che Ayala abbia pagato. E non solo per la storia più recente. Da 5 anni vive senza un attimo di libertà. «L'ultima volta che sono uscito a piedi coi miei figli era una domenica d'estate dell'85. Siamo andati a comprare i giornali in via Villafranca. Poi basta: non potevo esporli ai miei stessi rischi». E loro, come hanno reagito? «C'è un legame molto forte fra di noi. Sono riuscito a sdrammatizzare raccontando loro che era una necessità più che altro preventiva. Tutto ciò, dicevo, non vuol dire che stasera potrei non tornare a casa». Francesco La Licata
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