ALLA RAGIONE PIACE IL MITO di Federico Vercellone

ALLA RAGIONE PIACE IL MITO ALLA RAGIONE PIACE IL MITO MITO e Illuminismo s'inseguono nel divenire della cultura europea a partire dal tardo Settecento, a cominciare dell'affacciarsi dei guasti di una ragione che aveva preteso di affermare l'analisi contro la sintesi, la critica dissolvente contro ogni stabile universo in cui istituzioni e valori pretendano a un assetto definitivo. E' il vuoto della ragione quello che così si profila, un vuoto di potere e legittimità, che poi è magari la ragione stessa a colmare, affermandosi come dea all'epoca della rivoluzione francese. Il mito giacobino, rivoluzionario, cela il proprio doppio: la modernità si confonde così con l'arcaico e l'originario. Il problema di una nuova mitologia, su cui, a più riprese è tornato il recente dibattito filosofico, soprattutto in Germania, affronta, dal punto di vista storico e teorico, proprio la questione di una persistente risorgenza del mito nella storia culturale degli ultimi due secoli. Alle origini di questa discussione sta quel libro affascinante e quanto mai attuale che è la Dialettica dell'Illuminismo di Horkheimer e Adorno, comparso subito dopo la seconda guerra mondiale, dove si denuncia il rovesciarsi dell'Illuminismo, il preteso trionfo della ragione, nelle oscurità di un mito inconsapevole di sé, capace di ottenebrare la trasparenza sociale come dimostrava l'esempio del totalitarismo nazista (ma anche la società americana che i due autori avevano conosciuto nel corso degli anni di esilio). A distanza di quasi un trentennio la discussione riprende. A suggerire il tema della mitologia, non è più il primo, immediato obiettivo polemico della Dialettica dell'Illuminismo, il nazismo, che cercava una patente di legittimità in origini tanto dubbie quanto apoditticamente affermate: l'idea, greve di funeste conseguenze, della fedeltà a una terra e a una stirpe. E' la società tardo-industriale, sottoposta a un intenso processo di razionalizzazione, che sembra presentare un volto densamente ideologico, oscuro, compatto, a ben vedere: mitico. Questi presupposti danno inizio a una rivisitazione del mito. Nel 1971 Manfred Fuhrmann cura l'edizione del volume Terrore e gioco. Problemi della ri¬ cezione del mito. Di qui si avvia un articolato itinerario, che si sviluppa in molte tappe e coinvolge pensatori di diversa provenienza, da Odo Marquard a Hans Freier, da Reinhart Koselleck a Habermas per citare al cuni fra i più significativi. La riflessione sul mito non si conclude con 1' epoca del classicismo e del romanticismo tedesco, in cui ci si confronta con l'antichità greca vista come la suprema fioritura di un'umanità ideale. La questione è invece quanto mai attuale: concerne direttamente un mondo che patisce una profonda crisi di valori-guida, sottoposto a un insinuante, pervasivo processo di razionalizzazione. Questo di strugge l'«humus» vitale e produce, come proprio antidoto — quasi consapevolmente il bisogno di un ordine stabile e definitivo. Il mito non è dunque l'antiragione, la preistoria di un'umanità poi divenuta consapevole di sé; non è, a seconda dei punti di vista, una terra idillica ovvero densa di fremiti insidiosi nei confronti della compatta architettura della ragione. Il mito costituisce piuttosto il vero e proprio antecedente della ragione, il luogo dal quale questa si emancipa ma a cui deve inevitabilmente ricorrere per ritrovarsi. E' quanto confermano i libri di Manfred Frank, uno tra i più brillanti filosofi tedeschi dell'ultima generazione. In due volumi entrambi pubblicati da Suhrkamp, dal titolo // dio fu turo. Lezioni sulla nuova mito logia (1982) e Dio in esilio (1989), Frank ripercorre con grande lucidità e ampiezza di informazioni il sinuoso percorso del mito dalla fine del Settecento sino ai suoi sviluppi novecenteschi. In un panorama che conquista per ampiezza e profondità ci svela una vicenda che ha origini lontane: inizia con il filologo romantico Friedrich Creuzer, che affronta le ire degli ambienti accademici e del tardo illuminismo, studiando Simbolica dei popoli antichi e in particolare dei Greci, nel tentativo di dimostrare che alla radici di ogni religione sta un monoteismo originario. Via via scorrono poi i grandi nomi della vicenda mitologica tra Otto e I Novecento: Herder, Hólderlin, Schelling, Bachofen, Nietzsche Il confronto coinvolge poi figure come quella di Wagner e teorici del nazionalsocialismo, Al- \ fred Rosenberg e Alfred Baeumler, per venire a poeti della statura di Rilke e Stephan George, e scrittori come Musi) e Thomas Mann. Come documenta il volume curato da M. Cometa, Mitologie della ragione (Studio Tesi, pp. 367, L. 40.000), la finzione letteraria s'incrocia così con la scena mitica e rende conto di un modo d'essere dell'epoca. Il mito vuole essere una finzione definitiva, e la scena letteraria, nei suoi capitoli eminenti, è una scena tanto fittizia quanto consapevole della propria caducità. Razionalità e mito sembrano così accompagnarsi in un itinerario che li rende inestricabili, indispensabili l'uno all'altro. Federico Vercellone

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