EVVIVA IL PESSIMISMO

EVVIVA IL PESSIMISMO EVVIVA IL PESSIMISMO // diario politico di Pier Giorgio Bellocchio, ex «Quadernipiacentini» La cultura di sinistra non serve più a nulla: «Il nemico non ti ascolta» PIER Giorgio Bellocchio — per un paio di decenni direttore, con Grazia Cherchi e Goffredo Fofi, di «Quaderni Piacentini» — ha raccolto in un volumetto, Dulia parte del torto, i suoi scritti recenti. Il libro consente di rispondere a un interrogativo: perché gli apocalittici sono sempre di destra? (ricorro, per comodità, a un linguaggio politico approssimativo, ma che aiuta a capirei. Perche gli autori (grandi e piccoli) alla Cioran rivelano, immancabilmente, forti tentazioni regressivo-reazionarie? Azzardo una risposta: quegli autori sono dei moralisti che, anche quando si dichiarano feri icemente pessimisti, non rinunciano a una riserva di fiducia, a una quota di speranza, a una qualche ispirazione ottimista. A una via d'uscita, dunque, pur se proiettata all'indietro. Sono apocalittico-nostalgici in quanto cercano altrove — in una utopia che e stata — un modello: un modello che si rifugia in una rappresentazione . consolatoria del passato. Bellocchio non è di destra e non coltiva utopie: utilizzando ancora quel linguaggio politico approssimativo, lo si può definire un apocalittico di sinistra, ma della sinistra sconsolala • senza consolazionel. che dalla «nostra cultura cosiddetta di sinistra» non si aspetta «letteralmente nulla». Bellocchio - a differenza degli autori alla Cioran — è davvero privo di speranze. E lo si deduce, senza appello, da quello che è forse il suo aforisma più acuminato: «Taci, il nemico non ti ascolta». Ecco, sta qui la ragione di tanto pessimismo: per avere fiducia e cose da fare e conflitti da ingaggiare (magari contro la modernità in leasing, o contro la volgarità televisiva o contro la promiscuità partitocratica) è necessario individuare un campo avverso, dei bersagli riconoscibili, delle poste in gioco per le quali valga la pena battersi. Ma, fatto questo (ed è già impresa ardua, sembra dire Bellocchio), è necessario che il nemico — perlomeno «ti ascolti», decifri le tue parole, in qualche misura le tema o ne sia offeso (o perlomeno irritato). Il sospetto è che, invece, il nemico non ti senta nemmeno (se fosse meno educato, Bellocchio userebbe la terribile formula, credo romanesca: non ti si fila nemmeno). La ragione di questa sordità, che nasce dalla potenza e dall'indifferenza, è che il nemico (la classe dei privilegiati, dei soddisfatti, dei riconciliati) ha vinto su tutta la linea: e. per converso, Bellocchio ritiene che la sua parte politica e il suo schieramento intellet¬ tuale — insomma, le cose in cui ha creduto e crede — abbiano perso su tutta la linea. E hanno perso innanzitutto, par di capire, per propria stessa responsabilità, per dissipazione e imbecillità; sconfitti non dalla «controrivoluzione» («il destino è stato derisorio, nessuno vuole ucciderti»), ma dalla «grande classe media unificata»: «Un esercito formato da milioni di burocrati, industriali, liberi professionisti, commercianti, agenti, concessionari, assessori, sottosegretari, consulenti, appaltatori, faccendieri», una grande classe media «motorizzata, alla guida dei suoi turbodiesel, rally, camper, dragster, fuoristrada, gipponi, slitte, cingolati, motociclette». Di fronte alle forze preponderanti di un tale esercito, dice Bellocchio, «ti scuoti», ma i tuoi colpi «nel migliore dei casi suscitano qualche curiosità (...), per lo più non vengono nemmeno avvertiti». Se ciò è vero, continuare a menarli, quei colpi, risponde a un'esigenza sola: quella di «limitare il disonore» (che, poi, significa conservare la dignità verso se stessi). Questo porta Bellocchio a disdegnare la frequentazione dei mass media (sulle cui colonne, da anni, non scrive più una riga) e a pubblicare, da un lustro, insieme al critico letterario Alfonso Berardinclli, una rivista, «Diario», interamente concepita, scritta e redatta dai due. I saggi di Bellocchio pubblicali su «Diario» compongono questo Dalla parte del torto: una scrittura che alterna aforisma e parodia, critica letteraria e saggistica politica, dialogo morale e brani di assoluta comicità («Siamo già oltre il tempo stabilito e devo cedere la linea a Poltronieri per la telecronaca del Gran Premio del Belgio di formula uno. Signorina Weil, preferisce essere qualificata una spiritualista o una fautrice della prassi? Ci può dire, in una battuta, se la sua morte per inedia è stata volontaria? In altre parole, si può considerare tecnicamente un suicidio?»). Ma particolarmente interessanti sono i saggi più «concentrati»: quello, beffardo, su Umberto Eco e quello, appassionatissimo, su Pier Paolo Pasolini. Insomma, un libro da leggere: qualcuno che afferma che la catastrofe non è possibile, ma e in atto — e consiste, innanzitutto, nel fatto che non ce ne avvediamo — merita rispetto e, se possibile, ascolto. Luigi Manconi Pier Giorgio Bellocchio Dalla parte del torto Einaudi pp. 193. L. 16.000

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