AFRO E IL GRIDO

AFRO E IL GRIDO AFRO E IL GRIDO A Verona 49 opere (e qualche rivelazione) GVERONA IA' esposta nella Galleria Matasci di Locarno-Tenero. è aperta fino al 19 novembre alla Galleria dello Scudo un'affascinante, persino travolgente mostra dedicata ad>l/ro. L'i tinerario astratto: 49 opere su tela e su carta-collage, c'è an che l'importante aggiunta di Malalbergo del 1962, non compresa nel catalogo Mazzotta, i che reca testi di Caramel, Cortenova, D'Amico e Stcingràber e una approfondita analisi dell'opera, dal neocubismo alle «liriche» finali, di Francesco Tedeschi. V'è coincidenza con la grande antologia di Birolli al Palazzo Reale di Milano: la stretta amicizia e consonanza di idee artistiche negli Anni 50 fra i due, umanamente ricchi ma travagliati, problematici, «difficili», ha un profondo significato, Ciò mi induce a dichiarare a chiare lettere che i due artisti, nel secondo dopoguerra e nell'ambito della loro generazione degli Anni 10. svettano in assoluta qualità dì pittura; e sono i soli, con i più giovani Vedova e Burri, a reggere pienamente il confronto con il grande spostamento del fulcro contemporaneo da Parigi a New York. Per Birolli si tratta di un recupero quanto mai opportuno.Afro, con i fratelli Dino e Mirko Basaldella, aveva già goduto due anni fa dell'antologica in patria, a Udine, che comprendeva, con un'ottantina di dipinti, tutto l'arco della sua produzione, iniziata negli Anni 30 nell'ambito della scuola romana. La mostra attuale si focalizza, con scelta meditata, sul dopoguerra, dal 1948 al 1975, un anno prima della morte. Ed è un'ulteriore rivelazione, specie per gli Anni 60, comprendendo solo sei opere già esposte a Udine, fra cui due capolavori, da sé soli esplicativi degli sviluppi in forma e colore fra le fantastiche, surreali strutture di base tonale degli Anni 50 e l'esplosione di gesti pittorici e di luce degli Anni 60. Cronaca nera del 1951 fu esposta l'anno dopo alla seconda personale da Catherine Vi¬ viano a New York, in occasione della quale i critici americani accostarono il quarantenne italiano — esponente di un clima culturale ancora prevalentemente legato al neocubismo di marca francese — ad Arshile Gorky. Le Fosse ÌSutri) del 1962, in cui la violenza dei gesti neri vibrati di bruno scalta su bianchi lancinanti, fu esposto anch'esso dalla Viviano e giustifica pienamente la bella let¬ tura premessa da Cesare Brandi a quella mostra: «Ma la stesura cromatica ha assunto una maglia più larga, il fondo del quadro, come superficie emittente di luce, quasi proietta, quasi espelle le zone di colore, lanciate sulla tela, come un boomerang, con una spontaneità, con un colpo sicuro che incanta». Questo, delle opere degli Anni 60, è il fulcro della mostra, diramata di sala in sala in nu¬ clei che equilibrano le tappe del percorso stilistico e cronologico con accostamenti alternati (così come si sono effettivamente alternati lungo questo percorso) dei due «comportamenti cromatici» di fondo. Da un lato, seriche morbidezze tonali soprattutto di rosso bruni e di grigiazzurri, espanse fino al trionfo solare di Macchia delle serpi del 1960, riprese a partire da Terza baronessa del 1970 e distese poi negli ultimi anni nelle vellutate vibrazioni dei piani e degli incastri neocostruttivi, neoconcretisti, che preludono a tutto un versante di pittura giovane di quest'ultimo decennio. Dall'altro, l'esplosione vitale del gesto pittorico, fino ad azzardi di timbri cromatici che solo Afro poteva permettersi, come l'azzurro cristallino di Senza titolo 1960, come il verde smeraldo di Tuttoverde del 1966; le guide strutturali di questi grafici dell'inconscio inquieto sono grandi neri, i campi bianchi o effusi di un calore bruno di cui solo Afro ebbe il segreto, violentati da rossi lacca sanguinosi, da gialli citrini. Afro sognante e Afro gridante, ad un livello degno di Miro, di Gorky, di De Kooning. Afro «americano*, 9 cui De Kooning scrive nel 1960 incaricandolo di consegnare 1000 dollari a Gregory Corso: «Tu sai che i poeti ron fanno mai una lira». Non sicuramente il raffinato formalista, quale fu per troppo tempo frainteso. Certo, uno straordinario sperimentatore (basti guardare il suo uso del collage, con i magici affioramenti della carta stampata sotto la pelle cromatica), ma un artista ben conscio anche della densa significatività del suo operare. In una lettera ad Umbro Apollonio del febbraio 1953, egli scrive: «Io lavoro e da questo lavoro nasce altro lavoro; e tutte le idee che questo ti suscita non si concretano che in termini di pittura e si provano solo sulla tela». Ma aggiunge: «La pittura così intesa nel suo rapporto con la vita da cui continuamente si alimenta e si rinnova, ti investe in modo totale, per cui tu ci sei dentro in modo totale con tutte le tue reazioni, lati del carattere, ossessioni, uno spiraglio aperto sulla tua anima». Per chi volesse prolungare oltre Verona la «visita» ad Afro, c'è l'occasione del piccolo raffinato omaggio, fino al 30 novembre, all'Accademia dei Concordi a Rovigo, che esordisce con una copia del ventenne, a Milano presso Arturo Martini con il fratello Mirko, del Cristo morto del Mantegna a Brera. Marco Rosei Tra le o/iere ili Afro esposte nlln ( Galleria delio Scudo: «Controcanto» (l°7-t)