CAMPANILE DI RISATE

CAMPANILE DI RISATE CAMPANILE DI RISATE Ritorna Fautore dì «Agosto, moglie mianon ti conosco»:primo volume deWL EH, Campanile. Il suo «riso scemo» ci divertiva in segreto da quarantanni, ma adesso si può uscire allo scoperto, lo si può leggere fuori dal la clandestinità. E" lì. ben rilegato, nel volume dei Classici Bompiani con il segnalibro bordò, che registra il suo ingresso nel pantheon letterario, fra i massimi del Novecento. Non lo si deve più leggere nelle edizionceile delle stazioni, come si faceva negli anni Cinquanta, cercando di trattenere il riso nell'angolo dello scompartimento — e non ci riuscivamo mai — fra quei signori che ci guardavano compassionevoli. No, adesso Campanile chiede il primo posto sulla scrivania dello studio, ci si può abbandonare senza complessi alle sue giraventole verbali, certificati dal saggio introduttivo di Oreste del Buono, garantiti da una «fortuna criticai» dove brillano le stelle di Pancrazi e Gargiulo, Carle Bo e Siciliano, per non parlare di Eco (e come poteva sottrarsi al dovere?) Eh. Campanile. Ci si sono provati in tanti, a spiegare qual è il segreto del suo umorismo, hanno tentato di forzare la serratura con i grimaldelli della critica più acuminala. Ma lui resiste, là, refrattario a ogni definizione, tanto più difeso quanto più ali apparenza scoperto, in quella sua prosa orizzontale, spoglia di ogni artificio retorico, ridotta perfino nella scelta del vocabolario, sotto le mille parole. Dev'essere facilissimo tradurre in un'altra lingua Achille Campanile, anche per un medio conoscitore dell'italiano. Dev'essere difficilissimo capirlo, se non si restituisce con esattezza il sincronismo del suo straordinario orologio Narratore? Forse. Ma, più che narratore, costruttore di situazioni imprevedibili, from boliere della pagina, che lascia scorrere quasi con pigrizia nel suo ron ron per coglierti d'improvviso alle spalle, con la sua perfida innocenza, con il suo sorridente veleno. Forse per questo la sua riuscita più shoccante è il racconto, o meglio ancora la tragedia in due battute, dove si gioca in poche righe il destino dei suoi surreali estri. Ma la sua ambizione è il romanzo, la sfida contro la regola, per misurare la impossibile tenuta delle sue clowneries. Nella rete lunga delle trecento pagine Campanile e costretto a un forcing progressivo dell'invenzione, sposta sotto 1 tuoi occhi l'oggetto, rovescia le prospettive, inserisce programmi marginali, dilatori, per attivare un'attenzione che rischierebbe a ogni svolta di spegnersi; e dà fuoco alle sue singolari trovate. E' un procedimento che descrive egli stesso, in un capitolo di «In campagna è un'altra cosa», sul romanziere senza argomenti. Lo scrittore confessa invero di avere uno spunto, ma eccessivamente breve. «Un giorno, trovandomi con una signora, le avevo detto: "Dimmi che mi ami". E lei mi aveva risposto: "Timo"». Troppo poco, per dare vita a un romanzo. Troppo pocc? A uno scrittore come Campanile non serve di più. «Pensa c ripensa, mi venne un'idea: mi fingerò balbuziente. Presi la penna e scrissi: 'Un giorno, trovandomi con una signora le dissi: "Di di...di...mmi...mi che . .che m'a...m'ami". Ed ella mi rispose: "T'amo"». Ancora poco, per trecento pagine. E allora, seconda idea: «Dirò che la mia amata era un po' dura d'orecchio. Non era gentile verso la signora, che. tra parentesi, era davvero un po' dura d'orecchio; ma per l'arte si fa questo e altro». E il dialogo si arricchisce subito, di risonanze imprevedute. «Un giorno trovandomi con una signora, le dissi: "Di...di...di..." "Come?" mi chiese lei. "Di...di...di..." "Non ho capito bene l'ultima parola. Ripeti, per favore". "Di...di...di...mmi che m'a...mi!" "Figli di cani?" "N...n...n..." "Gl'inni die nani?" "Ma ti ti o! Di., di...mini the m'a¬ mi!" urlai. "Non vuoi perdere quel viziaccio d'esprimerti sempre a gesti, invece di parlare. Che vuoi?"». E avanti, verso l'infinito. Non c'è nulla di serio, nei romanzi di Campanile, nemmeno la finzione. La sua ironia parte dal quotidiano, ma da un quotidiano fittizio, consapevolmente spurio. Nel suo teatrino ci sono fondali di cartapesta, quinte bugiardamente girevoli: quelle pensioni di terza classe, ville di nababbi per caricaturisti, stabilimenti balneari da Corrierino dei piccoli. I personaggi sono figurine, ridotti a due climensioni. come dichiarano i loro nomi stessi, intenzionalmente impossibili. In «Ma che cosa è quest'amore?» i passeggeri di uno scompartimento si chiamano tutti Carlo Alberto. In «Giovinotti, non esageriamo!» c'è un sindaco Fiordaliso. In «Agosto moglie mia non ti conosco» il cameriere della pensione è addittura Aroclc, per poter fornire all'autore la battuta: «Di Arocli non c'era che lui tra Palermo e Le Havre. da che l'unico altro Arocle era morto di crepacuore a causa del proprio nome». La narrativa di Campanile è . linguaggio allo stato puro, si nutre di una parola quasi liquefatta, sganciata dal proprio rapporto semantico, per poter costruire un sistema altro, fondato sull'assurdo. La sua espressività non si basa sulla violazione del Sejmu, ma del senso. Le è essenziale l'effetto di spiazzamento, l'irrompere della sorpresa nel discorso più familiare. «Da ragazzo i genitori pensavano di farne un medico, ma la sua vocazione era di non far niente. Appena aveva un po' di libertà, andava di nascosto a non far niente». «Nicola sarà a posto quando diventerà zio; egli non può aspirare a niente di più che ad avere dei nipotini o, al massimo, ad essere zar di Russia». «Mio zio mi ripete spesso: "Il mattino ha l'oro in bocca". E' vero. Ma è una gran verità che apprezzo verso sera». Si prenda qualunque pagina di Campanile, sembra tutta fatta di parti intercambiabili, non c'è nulla di necessario. Ma si provi a spostare una parola, il gioco non funziona più. E' un esercizio tanto più difficile quanto più condotto sulla corda tesa del nulla. Su questo lucido nulla, irridente verso i pompieri del Tutto, Campanile ha scritto migliaia di pagine, esaltato dai pochi, letto dai molti, ignorato dalle storie letterarie che si vergognavano di accettare un umorista. Ma sono passati i decenni, che hanno spinto al fondo del fiume tanti scrittori, e i suoi libri ritornano a galla, stuzzicano i lettori più curiosi, eccitano alla scoperta. E adesso veniamo a sapere che è un grande. Eh, Campanile... Giorgio Calcagno e , , , a o , i r

Luoghi citati: Le Havre, Palermo, Russia