I TANTI VEZZI DELLA RIVOLUZIONE

I TANTI VEZZI DELLA RIVOLUZIONE I TANTI VEZZI DELLA RIVOLUZIONE CHE cos'è la moda? Un ritornello che non può mai essere approfondito ma soltanto sostituito con un altro, come diceva Barthcs, oppure, attraverso il confluire dell'individuo nel mutamento, un modo struggente, anche se vano, di immergersi nella vita che scorre e cancella? E, in quanto frenesia, vortice e sostituzione di segni, come stabilirne la nascita? A metà del Seicento, quando compare per la prima volta il termine italiano, a proporre, come diceva la grande storica Rosita Levi Pizetsky, «una brillante immagine di fugacità di variabilità, di novità» in un'epoca ancora fissa e cristallizzata o non piuttosto durante la Rivoluzione francese, quando a imporre i cambiamenti fu la politica, e tutto mutò, non soltanto i vesti ti, e non soltanto quelli femminili, ancorché fossero le donne a scivolare «verso il mondo nuovo in modo più svagato e impercettibile degli uomini»? Era un mondo, oltre tutto, assai difficile e pericoloso a interpretare: ce lo dice il bel libro di Daria Galateria, Parigi 1789. Le vecchie e le nuove abitudini tratte dai Mémoires del tempo. Accadde, per esempio, «a un amico di Diderot, Meister, che rientrava a Parigi nel 1795, di compiere un curioso errore di attitudine. Si aggirava per la città camminando ancora come si faceva prima del Terrore, a testa bassa, le spalle raccolte in una posa di difesa e di circospezione, sciabolando la via di occhiate laterali, a destra e a sinistra, per controllare. Ma c'era uno strano silenzio. Davanti ai portoni, stavano esposti gli ultimi mobili di casa, in un continuo, misero mercato; e non passava carrozza. Tutto era ancora lì, ma era come se tutto fesse cambiato di posto». Come avrebbe scoperto ben presto Meister, «Termidoro aveva imposto all'andatura un'inclinazione all'indietro di trenta gradi. Ruotando la figura intorno al perno del fianco destro, in una piroetta di distratto sussiego, i nuovi eleganti ostentava no... un intento e un po' ottuso esame attraverso l'immenso occhialino. Sempre debolmente stupefatti, i moscardini... procedevano periclitanti... incipriati in modo cadaverico, affettavano di essere debilitati, e se mai si risolvevano a salutare, lo facevano lasciando cadere la testa di colpo, come colpita dalla ghigliottina...». L'opera, apparentemente leggera, in realtà, densa, intelligente, risultato ultimo di ampie letture, riscontrabili nella bibliografia, deve il suo taglio e anche il suo tono all'osservazione di E. M. Cioran, secondo il quale, per capire che cosa è stata la Rivoluzione Francese, bisogna leggere le memorie del tempo, ma a sottenderla mi sembra ci sia anche, non dichiarata, un'altra idea. E' quella di Starobinski, quando afferma che il 1789 «impone un criterio universale, che dà la misura del moderno e del sorpassato» e «promuove, e mette alla prova, una nuova norma del legame sociale». E', in effetti, la «nuova norma del legame sociale» il grande argomento di questo libro appassio- m V | nanle, a volte nella sua variegata frivolezza, anche angoscioso, proprio per il contrasto continuamente e ossessivamente proposto tra passato e presente, tra la vitalità che prevale sulla morte che, inopinatamente, al momento in cui sembra già evitata, coglie l'individuo. Un legame sociale che, dopo secoli di immobilismo, muta, ma, nel mutare, stabilisce altre leggi ferree, aperte, però, a continue sorprese. Nelle carceri giacobine, che erano considerate dure, le donne che potevano si attenevano alla regola dei tre cambi di abito du-. rante il giorno, e non c'era luogo dove si esibisse tanta eleganza come nel cortile della Concierge rie a mezzogiorno. Il marchese de Sade ebbe una detenzione meravigliosa durante il periodo più cupo del Terrore, che gli fu un po' rovinata dal fatto che «la Repubblica trasferì proprio sotto alle sue finestre il patibolo e, I in mezzo al giardino, il cimitero dei giustiziati». Tredici quadri, che vanno dalle Bastiglie alle Prostitute, agli Interni, agli Abiti, ai Presagi, incasellano, sistemano, commentano una quantità immensa di anedaoti, ritratti, scorci: il tutto a restituirci non un clima solo, ma tanti climi diversi di sopravvivenza, di adattamento, anche vdi emigrazione e di fuga. Nel 1796, quando la moda bveva già iniziato il suo giro di boa, il romano Giuseppe Ceracchi, il maggiore scultore dopo Canova (e su di lui, «scultore giacobino» si è appena aperta a Roma, in Campidoglio, una bellissima mostra), fece un busto di Napoleone giovane, dal volto me lanconico. Ma nel 1801, accusato di complotto, tini ghigliottinato. Sempre nel 1801, Meister ritrovò finalmente la Parigi magica, «dove la rivoluzione», però, «aveva operato guasti irrimediabili nella memoria» e «l'indifferenza, la frivolezza e l'ironia erano come un Lete da traversare». Grande merito di Daria Galateria averci comunicato, attraverso il suo tono ironico, beffardo, narquois, di matrice saggistica anglofranccse, distaccato, ma solo in apparenza, la qualità di questo Lete. Angela Bianchini Daria Galateria Parigi 1789 Sellerio pp. 165. lire 15.000 mmiudini mpo. a un , che 5, di re di er la come a tete in ospedi oc sini c'era o ben o aveun'inrenta intorro, in ussientava ottuso so ocmente procepriati de legame sociale» il grande argomento di questo libro appassio- mi *5%m É ■■■■■ ".WV É / : : & RtoI indleIctaamvvdbbcCcmmpltgtc«brerlvds

Luoghi citati: Parigi, Roma