L'ITALIANO STA BENISSIMO

L'ITALIANO STA BENISSIMO L'ITALIANO STA BENISSIMO A colloquio con Giulio Lepschy: «La nostra lingua non è cambiata. Eco riprende Croce e la cronaca rifa Carolina Invernizio» FLONDRA RA i linguisti italiani che insegnano all'estero, Giulio C. Lepschy è uno dei più famosi. Nato a Venezia nel 1935, è un glottologo formatosi all'Università e alla Scuola Normale Superiore di Pisa, a Zurigo, Oxford, Parigi e Londra; allievo di Tristano Bolelli, profondamente legato agli insegnamenti di André Martinet, Roman Jakobson ed Emile Benvenisle, si è affermato soprattutto come studioso di linguistica strutturale: il suo libro del 1966 La linguistica strutturale (Einaudi) è ormai un classico degli studi linguistici. L'abbiamo intervistato, mentre esce dal Mulino la sua raccolta di saggi Sulla linguistica moderna (pp.465, L.48.000). La stessa casa editrice sta per pubblicare il primo dei tre volumi della Storia della linguistica da lui diretta e curata. Professor Lepschy, lei insegna da molti anni italiano e linguistica italiana all'Università di Reading in Inghilterra. Trova che l'italiano stia cambiando in peggio? 1 Leggo in tanta pubblicistica, anche accademica, che la lingua italiana sta andando in malora e sono molto colpito da questo «senso di sfacelo» che affligge gli studiosi italiani. Io. dall'estero, ho un'impressione del tutto di¬ versa: l'italiano gode di ottima salute, anzi non è mai stato così bene. Ma gli studenti di liceo e di università che fanno errori di ortografia, e la gran fame di grammatica che ha decretato il successo di varie pubblicazioni sulla nostra lingua non sono spie di un abbassamento del livello di conoscenza dell'italiano? Negli ultimi venti anni, se vogliamo, si può prendere il Sessantotto come data simbolica, c'è stata un'evoluzione sociale molto rapida in Italia che, come già osservava Gramsci in altri tempi, ha provocato delle ripercussioni anche sulla coscienza linguistica italiana. Il numero degli studenti universitari è raddoppiato fra il Sessanta e il Settanta ed è di nuovo raddoppiato fra il Settanta e l'Ottanta: questo ha creato degli scompensi, ha reso molto più movimentato il panorama della lingua all'università e nella scuola superiore. Di fatto l'italiano si è affermato come lingua parlata proprio in questi decenni. Più che di sfacelo dell'italiano si deve parlare di un leggero, non drammatico, avvicinamento dell'italiano scritto all'italiano parlato. Anche per l'italiano si sta verificando quello che è già successo al francese e all'inglese: la divaricazione fra lingua scritta e lingua parlata diminuisce ed è questo che provoca in molti la sen sazione che l'italiano stia andando in rovina. Come spiega che molti suoi colleghi italiani non condividono tanto ottimismo? Penso che vivendo in Italia siano portati ad ingigantire certi fenomeni. In realtà l'evoluzione dell'italiano scritto nell'ultimo secolo è stata molto lenta: insieme a Lorenza Raponi, un'allieva di Tullio De Mauro, ho pubblicato l'anno scorso sulla rivista «Comunità» i risultati di una ricerca sull'evoluzione della norma linguistica italiana. Sono risultati interessanti e perciò ho deciso di ripubblicarli nei Nuovi saggi di linguistica italiana, in uscita presso II Mulino. Abbiamo confrontato dal punto di vista della morfologia e della sintassi della frase testi colti e testi popolali di un secolo fa con testi contemporanei Abbiamo affiancato un pezzo di Croce e imo di Eco, un brano di Carolina Invernizio e uno tratto da un romanzo pubblicato su «Grand Hotel», la cronaca politica e quella cittadina de 11 Messaggero di un secolo fa con quelle dei nostri giorni. Ebbene le strutture della lingua sono cambiate pochissimo: ci sono delle differenze ma le più grandi non sono, come ci si aspetterebbe, tra testi antichi e testi moderni, bensì tra registri, tra livelli di lingua. La prosa di Croce, Eco e della stampa politica hanno caratteristiche analo ghe che differiscono da quelle dell'italiano più popolare che accomuna l'Invemizio, il romanzo di «Grand Hotel» e la cronaca cittadina. Se l'italiano è cosi poco cambiato, perché improvvisamente c'è stata una fioritura di manuali per il corretto scrivere e parlare? Io mi auguro che sia il risultato di ciò che gli studenti hanno avuto a scuola negli ultimi anni, e non la reazione ad una mancanza. Spero che, incuriositi, sensibilizzati dall'educazione linguistica, continuino ad aggiornarsi sulla propria lingua anche al di fuori della scuola. Temo però che alla base ci sia una mancanza sentita non tanto dai giovani freschi di studi, quanto dalle loro famiglie. L'italiano non è cambiato molto, ma sono cambiati gli italiani che lo parlano: sono aumentati rispetto ad un tempo, sono di varia estrazione sociale e sono cresciute anche le occasioni in cui i parlanti si servono, anziché del dialetto, della variante regionale italiana. Il dialetto non è morto, è ancora ben vitale, ma a molte persone non basta più e quindi si cerca il conforto della grammatica, del manualetto di italiano, della risposta puristica normativa, dell'oracolo che ci assicuri che si può o non si può dire «Gli dico» per «Le dico», o «Dico loro»... Mi pare di capire che lei disapprova questa ricerca che pure rispecchia un malessere, un bisogno linguistico. No, non posso disapprovare chi cerca di saperne di più, soltanto dubito che sia utile ricevere delle risposte puristiche e normative. Credo siano molto più utili le risposte articolate che si trovano nelle pubblicazioni serie, di una certa ampiezza, che ti dicono: «L'uso è vario: se dovessimo dare un consiglio per un registro colto suggeriremmo...». Sono quindi molto contento che negli ultimi anni siano apparse opere come la Grammatica italiana di Luca Serianni pubblicata dalla Utet e, presso II Mulino, il primo volume della Grande grammatica italiana di consultazione a cura di Lorenzo Renzi. Pei anni non c'erano state nuove descrizione grammaticali dell'italiano ed ora abbiamo oltre a queste, fatte da italiani, anche un'ampia grammatica in tedesco di Christoph Schwarze, un'altra ancor più ponderosa dovuta allo studioso tedesco Krenn è in stampa. Perfino in Danimarca stanno per pubblica re una grande grammatica dell'italiano. Quale è la ragione di tutte queste novità anche in ambito scientifico? Non saprei, ma me ne rallegro. Forse si potrà dare un risposta | fra qualche anno, quando qual\ cuno guarderà a questa fioritura I di grammatiche come a un fatto da spiegare in termini pratici, con il punto di vista adottato da me e dai miei collaboratori nei tre volumi della Storia della linguistica che usciranno a partire dal prossimo anno presso II Mulino. C'era bisogno di un'altra storia della disciplina, adesso che il ruolo della linguistica come paradigma per le altre scienze umane è m ribasso? Sì, proprio perché questi tre volumi non sono una storia delle teorie linguistiche, ma una storia della riflessione linguistica presso i popoli antichi e nelle varie epoche: io ho chiesto ai migliori specialisti in ambito internazionale di assumere il punto di vista delle società di cui parlano, di esporre ciò che per quelle comunità di parlanti era «linguistico». Ho avuto fortuna perché i linguisti a cui mi sono rivolto, pur non volendo e non potendo rinunciare al loro bagaglio teorico moderno, hanno accettato quest'ottica empirica ed hanno offerto delle nuove letture molto interessanti. Ad esempio, il noto linguista di Oxford, Peter H. Matthews ha riletto i grammatici greci e latini in modo penetrante. Forse adottando quest'ottica empirica fra qualche anno qualcuno ci spiegherà le ragioni di tanto interesse per la grammatica dell'italiano d'oggi. Carla Mareilo

Luoghi citati: Danimarca, Inghilterra, Italia, Londra, Oxford, Parigi, Venezia, Zurigo