GIARDINI DI BELLOW di Furio Colombo

GIARDINI DI BELLOW GIARDINI DI BELLOW «Bellarosa», il nuovo libro dello scrittore americano in un labirinto di parole l'ebreo cerca chi lo salvò BNEW YORK i ELLAROSA, il nuovo lavoro di Saul Bello w, è un breve stupendo libro di parole. Appartiene allo stesso «mood» di «La sparizione» (titolo italiano), legato dalla stessa vena, al modo in cui un pittore, in un certo periodo, usa soltanto acrilico o soltanto matita. Ma se questo è il periodo in cui Bellow adope| ra, per la sua costruzione narrativa, «soltanto parole», Bellarosa deve comunque avere, sul mercato della sua produzione, un valore mollo alto. Perché le parole, qui, suonano, crepitano, si annodano e sciolgono in una spettacolare armonia. Non vorrei che il lettore pensasse a qualche forma di sperimentalismo o di alta scrittura. Niente appare più semplice, casuale come una lettera, felice come una conversazione in una sera di buona vena. Ma c'è quell'impalpabile miracolo che separa l'artigianato dall'arte. Basta socchiudere l'attenzione, e la narrazione di Bellow entra d'impeto e si installa al centro della mente, della memoria, diventa una esperienza sonora e visiva. Il più piccolo libro di Bellow rischia di essere il più bello. Certo lo è nel momento in cui il lettore lo gode. Il narratore ha una voce netta, coraggiosa, non ha nessuna intenzione di sussurrare e di reslare di lato. I personaggi vengono avanti con una tecnica doI ve il minimalismo della strumentazione verbale corrispon| de a un effetto estremo, come certi segni magistrali sul foglio da disegno del grande artista. Dice il New York Times che questo libretto «bisogna prima di tutto ascoltarlo». Ma non è vero o non vero soltanto questo, il valore del suono, che porrà al traduttore un compito molto bello ma arduo. Nelle poche righe di un suo personaggio, Fonstein, che riflette sulla sua vita di ebreo a Chicago, Saul Bellow ci offre i dati della sua poetica. «Uno dovrebbe essere forte ma compatto. La mia lunghezza, per esempio, è superflua, ho troppo petto, troppe spalle, le mani troppo grandi, ho troppa voce, troppi capelli, le righe della mia camicia sono stupidamente sgargianti». Un figlio troppo grande, dice il narrato re, «è un peritolo, un parricida». Saul Bellow ci sta parlando del libro che non scriverà, e lo fa in modo da non lasciare spazio per nostalgie. Non c'è plot, in Bella rosa, ma il giardino di parole ha le sue svolte assurde e felici che ricordano quei disegni di Steinberg in cui scale portano a scale e si entra e si esce da un labirinto per la stessa porta rovesciata da un errore di prò spettiva. Il titolo, per esempio. Non esiste Bellarosa, non vuol dire niente. E' qualcuno che, essendo stato salvato in Italia, durante la guerra, da un'organizzazione che si occupava di mettere al sicuro gli ebrei, non ha mai capilo bene il nome del suo salvatore. Forse era Billy Rose, ma nella sua lesta è rimasta impressa questa parola italiana, Bellarosa. Non c'è davvero una trama, oppure, come ho detto, è una trama di parole, un narrare che rogge se stesso e che crea una sensazione di euforica ipnosi nel lettore. Siamo in un «training center» americano, dove si va per cambiare. Qui ci si dedica alla me¬ moria, a tecniche di sostegno e di rilancio della memoria. Ma toccando quel meccanismo, riportando vivide immagini nella mente di gente che aveva lavo rato a dimenticarle, si mette in moto un meccanismo imprevi sto. Comincia un febbrile avvicendamento di ruoli in cui ciascuno cerca precipitosamente di uscire dal contenitore in cui si era identificata la sua vita, per entrare in qualche altra co¬ sa. Bellow sembra indicare, in uno strano gesto I di fantascienza letteraria, che il nuovo mor'o può essere proprio il libe- I ro stream delle parole, i che ti consentono di usci- ! re da quello che eri (anche dal corpo eccessivo del figlio troppo grande i che rischia di essere og- I i i gSettivamente assassino i re, a causa delle sue dimensioni) senza diventare un altro, senza fare un'altra scelta, semplicemente librandoti in un felice stato espressivo, un modo di comunicare che diventa un modo di essere, un nuovo genere di fantasmi, una acorporeità che è mentale, non spiri luale. In questo ricorda il Talmud più di ogni altra scrittura religiosa, un misticismo del senza corpo, piuttosto che un misticismo del tutto anima. Bellarosa è ricco di digressioni e divagazioni. Ma a leggerlo bene (ovvero ad ascoltare bene) le digressioni e divagazioni non sono che controcanto di una accortissima scrittura musicale, una partitura di matematica esattezza e di straordinaria armonia. Dove porta la tensione della breve audacissima arcata che Bellow costruisce con agilità in poche pagine? Porta ne) punto in cui il direttore dell'istituto perde la memoria all'improvviso, non ricorda più una parola, una sola parola. Quel punto vuoto serve a ricordare che anche la più graziosa delle storie non è che un piccolo passo verso la morte. Il libro si | arresta sull'orlo del buco nero. Non lo indica, non ne parla, si chiude nella sua festosa armonia. Ma è lì che puntava, e questo svela il senso del gioco. Furio Colombo que che mpito e poonag sulla cago, della forte ghezua, ho le, le roppa righe pida figlio rrato rricilando à, e lo e spamealtsemfeldoungereilupiùgiocosm |

Luoghi citati: Chicago, Italia