E abbandonarlo al suo destino? di Igor Man
E abbandonarlo al suo destino? MHHHHH IL COLONNELLO E abbandonarlo al suo destino? Hasta. Non facciamo che porgere l'altra guancia. Bisogna farla finita con Gheddafi. Insomma, spezziamo le reni al la Jamahiria libica: questo, in buona sostanza, vanno dicendo oramai da tre giorni non pochi politici e commen tatoti; chi con pacatezza e chi con accenti beceri. «Déjà vu» che le crisi con l'improv\àdo vicino non si possono più contare tunto numerose esse sono e ricorrenti. Al coro che auspica, invo ca o pretende venga data «una lezione» a Gheddafi, re plica il ministero degli Esteri chiedendo ai libici «chiarezza, certezza con la massima fermezza». Si dirà che anche questo è «déjà vu». Si, sola mente che stavolta s'è passa to il segno: la solita petulante e offensiva pantomima libica s'è volta in tragedia. Gli 007 di Tripoli (come vuole qualcuno) ovvero i soliti teppisti politici (come qualche altro suppone) vale vano (o dovevano?) «punire» un Cameade purché fosse italiano ed hanno finito col comportarsi come fece Du mini con Giacomo Matteotti. Non è improbabile che abbia no perso la testa magari perché han pensato che l'italiano li avesse riconosciuti. ha far crescere di mille cu biti l'indignazione (genuina perloppiù ma in qualche ca so gelidamente strumentale) ci si è messo anche Gheddafi. Vestito da metallaro, arrogante e, per tanto, patetico tal quale uno di quei Vantoni di borgata narrati da Pasolini, il colonnello ha replicato sé slesso per l'ennesima volta. Ha ostentato distacco per le cose terrene, s'è mostrato sprezzante, durissimo. «Déjà vu». Si rivolgeva agli Italiani ma parlava, in realtà, ai suoi concittadini, preoccupato solamente di mostrar loro la faccia feroce. Per quel po' che conosciamo (o crediamo di conoscere) il colonnello oseremmo presumere che davanti a un taccuino e a una matita avrebbe parlato diversamente che non in diret ta tv, allo speciale TG2 che a 'Iripoli nessuno si perde mai. Ebbene, cosa vieti fuori dallo show di Gheddafi? Pro prio l'esatto contrario del l'immagine che egli si sforza di dare di sé medesimo. Poiché tanto più Al Qaid rivendicando l'impossibile e maledicendo i nipoti di Gio litti e di Graziani crede di I esorcizzare il colonialismo ] (che, fatalmente, per lui è si nommo di Italiani e di Italia), tanto più si rivela infelicemente costretto nella ca micia di forza d'un «complesso» inestirpabile. La gente comune lo taccia di ingratitudine perché gli Italiani hanno «trasformato il deserto in un giardino». Mu rinfacciare quanto ab biamo fatto laggiù di grande, di bello (ovviamente non cer to per beneficenza) non può non esasperare la frustrazione del vertice libico incartato nel più didascalico dei complessi: quello di inferiorità. Ma se ricordare a Ghedda fi quel che di buono abbiamo fatto e i torti che abbiamo ri cevulo da lui e che abbiamo subito con rara pazienza non vale a fargli «mettere giudi zio»; se comportarsi con prudenza, da bravi «fratelli maggiori» in ragione delle responsabilità, fors'anche storiche, che ci competono non fosse altro per la nostra posizione nel Mediterraneo, se tutto ciò non serve, che fa re? Non possiamo certo man ■ dare la fiotta, come dice De Michelis; e allora? Forse, come scrive lo storico G. Calchi Novali, abbandonare la Libia al suo destino per chiudere urta volta per sempre il famoso «contenzioso»? Qualcuno ha detto, ancora ieri, che il nostro Governo mostra una «debolezza inspiegabile». Se per debolezza si intende la capacità di mantenere saldi i nervi (co me già si fece dopo Lampe àusa), il saper dosare gl'interventi anziché agire sulla spinta emotiva, ebbene ben venga la «debolezza». Come regolarmente accade nel no stro bel Paese, ogni crisi con la Libia scatena risse interne, ma. più grave, risveglia i germi del razzismo (padre infame, tra l'altro, dell'ami semitismo), coltivati da qual che forza politica. Così come la presunta innocenza politica dei Libici affermata da Gheddafi non può giustificare il suo sgra devolc comportamento, del pari l'indignazione, il dolore per la morte terribile di un lavoratore italiano, non debbono poter fornire alibi a quanti spingono per una «caccia all'arabo». Con la stessa fredda fermezza con la quale vanno respinte pre tese impastate d'odio, dob biamo respingere ogni bom bastica tentazione di squalli da marca squadrista Igor Man lan |
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