Stefano Reggiani, i film senza retorica di Stefano Reggiani

Stefano Reggiani, i film senza retorica Lo scrittore e critico de «La Stampa» è morto ieri a Roma dopo una lunga malattia. Aveva 52 anni Stefano Reggiani, i film senza retorica Le sue recensioni a caldo, un esempio di sintesi brillante Si usciva da un articolo di Ste l'ano Reggiani come da un film di classe, con la sensazione di un'inarrivabile levità ed eleganza. Quantunque la sua prosa brillasse d'una raffinata cultura letteraria, Reggiani non dimonticava mai ai scrivere su un quotidiano, per gente avida della notizia e distratta dal consumismo. Praticava sorridendo il dono supremo della sintesi, dando in un breve volgere di frase indicazioni precise e citazioni curiose. Al giudizio vero e proprio, secondo una concezione non cattedratica dell'attività di critico, sarebbero in un secondo tempo arrivati i lettori attraverso tali spunti. Muore nel '79 a 86 anni Mary Pyckford e un velo di tenerezza ombreggia le sue parole. Nel finale del compianto non c'è già più l'occasionalità: «Ma i soldi li avevu avuti sempre. Fu tru le più pagate, forse mai tanti denari s'accompagnarono a tati to successo. A riguardare nei vecchi film della Pickford quel le ombre pullide da cineteca, quei sorrisi sperduti tra i rie iioli, si riconosce, con delieu te7.au. dietro il volto dell'adole stente continua, anche l'am micco della Grande Fabbrica». La fabbrica hollywoodiana dev'essere sempre presente agli occhi d'un critico accorto, per non cadere negli eccessi della Kcinéphiliex pura, portata a valutari' ed esaltare il prodotto filmico in sé stesso. L'unno scorso per Alt razione fatale si ciano levati improperi (e sco porte) fuori luogo, data la commercialità stretta della produzione. Reggiani non cade nelle trappole del moralismo della vecchia o della nuova maniera: «Attrazione fatale è stato visto come un manifesto in favore del matrimonio, riecheggianle, naturalmente, l'allarme del l'Aids. F' vero che nel film si vuol vedere soprattutto quello che ci si aspetta e una restaura zione matrimoniale adesso va bene. Ma controllate a che prezzo è ottenuta». Se ricordiamo con quanto sadismo nei confronti degl'ignari lettori molti articolisti si erano perduti nell'esame del vero finale e del finale fittizio, ancora una volta si dedurrà da Reggiani il rispetto per chi ama il cinema ma al cinema desidera andare informato, non indottrinato. Non è un caso che una delle migliori trovate del critico sia consistita Dell'affidare paradossalmente alla voce del suo bimbette» un film edulcorato per l'infanzia. Il cinema c davvero di tutti, dobbiamo scoprir lo insieme. Da studente non era mai scappato di casa per andare alla Mostra, sosteneva in un riquadro dell'antologia Iai prima voi la a Venezia. Si opponeva alla retorica del primo amore, primo amore cinematografico naturalmente, che porto tutti (pianti ad approdare al Lido, don bella brutalità precisava fin dalle prime righe che non era un contestatore in anticipo: «A/o, ero senza soldi; gli Anni Cinquanta erano secchi e in grati, c'era la salvezzu dei cineclub. La prima volta alla Mostra, se mi ricordo bene, è stata quasi ufficiale, ci andavo come critico del giornale della mia città, parzialmente in conto fe rie». Alla pari dei talenti sbocciati con gli Anni Sessanta, veniva dalle esperienze dei circoli del cinema e dalla gavetta d'un quotidiano. Chiamava ostentatamente ma senza cattiveria «niéstri* i colleghi docenti universitari perchè ricordava come chi praticava il cinema o il teatro dovesse secondo le preesistenti autorità accademiche morire nella terra non consacrata dalla toga dei decani. La battaglia perchè il cinema fosse considerato arte era vinta. Cosi guardava d'intorno a sè piuttosto che avanti, cioè ai posti nei festival, nelle facoltà, nei dibattiti a 24 pollici. Preferiva mettere conlinuumente in discussione il proprio limpido lessico con i giovani e gli emergenti. Puntualissima è stata la sua liquidazione dell'improperio «matusa», che già nel '68-69 gli appariva desueto: «Non solo il termine divenne rapidamente inviso ai coniatori ma segnò subito l'appartenenza a un 'al tra razza: si lesse di matusa so lo negli articoli di costume e nelle lettere ai giornali dei vecchi alpini. Il linguaggio dei giovani e dei giovanissimi era già scappato, rifluito su lidi non frequentati dagli adulti». Non senza logica quindi si trova il nome di Stefano Reggiani tra i compilatori di un prontuario sui comici italiani degli Anni Ottanta, intitolato probabilmente con suo imbarazzo: / nuovi mostri. Si era asssunto quale pretesto la tribù di Arbore - cioè Luotto, Bracardi, Marenco - e ne descriveva con candore gl'interventi {«Come dopo una mareggiata si raccolgono sulla spiaggia conchiglie mai viste, pezzi d'alberi lonta ni, scarichi di navi invisibili: la sorpresa non è nella forma o nella qualità, ma nel fatto che sono lì, oggetti per cui la spiaggia, quella sera, é degna di es sere vista e percorsa»). Apertura del cinema a voci e tecniche diverse contemplazione dell'attore come fido compagno di viaggio, ironia di costume nelle Fantacronache... Sono spunti che Reggiani non svilupperà più per i suoi lettori. Così come ai colleghi non concederà più la bonaria e schietta sensazione dell'amicizia. Piero Perona Stefano Reggiani ai tavolo di lavoro al giornale

Luoghi citati: Roma, Venezia