Ferma la lingua o fai disastri

Ferma la lingua o fai disastri «L'arte di tacere»: dal 700 un'invettiva contro gli sgarbati di oggi Ferma la lingua o fai disastri Salvare il decoro nella società-spettacolo ""«INSULTI in diretta, urla, I schiamazzi, lite ai microI foni, parolacce in radio e ! in tv. E' ormai cronaca di _MJ tutti i giorni. Titolo a cinque colonne sul Corriere della Sera di venerdì 13 ottobre: «Rissa in diretta a "Radioanch'io", gli ascoltatori indignati bloccano i telefoni di viale Mazzini». La solita storia. Tre personaggi in studio: l'ex deputato Antonello Trombadori, il critico d'arte Vittorio Sgarbi, il docente in diritto penale e collezionista Fabrizio Lemme. Si discute di arte, beni culturali, responsabilità dello Stato davanti al patri monio artistico. Domande, risposte, qualche battuta. Tutto fila liscio per un po', poi gli animi si surriscaldano, il linguaggio si fa cattivo, e i poveri ascoltatori sintonizzati sulla trasmissione si trovano coinvolti in uno spettacolo penoso: voci concitate, urla rabbiose, strepiti di toni esasperati che si sovrappongono, grida, il programma trasformato in un assurda chiassata. Inutile indignarsi. Inutile telefonare al centralino di viale Mazzini come pare abbiano fatto decine di ascoltatori. E' la regola. La società dello spettacolo ha bandito la misura e ha eletto l'enfasi a scuola di pensiero. Ha cancellato il garbo e sostituito il decoro della normalità con il clamore dei tromboni. E' da segnalare un libretto uscito in questi giorni. Cento pagine al costo ragionevole di diecimila lire, un saggio pacato e nitido che sembra scritto ap posta per i pontefici della gran cassa: imbonitori, suonatori di piatti, intellettuali gonfi di sè, professionisti della chiacchiera. Si intitola L'arte di tacere, lo pubblica Sellerio, è un trattatatello di buone maniere scritto da un ecclesiastico, l'abate Joseph Antoine Toussaint Dinouart e pubblicato a Parigi nel 1771. «Non è sufficiente, per ben tacere, tenere la bocca chiusa e non parlare affatto: non ci sarebbe, altrimenti, alcuna differenza fra l'uomo e gli animali, i quali sono naturalmente muti: l'im- portante è sapere dominare la lingua; riconoscere i momenti nei quali conviene trattenerla e concederle una moderata libertà; seguire le regole che la prudenza prescrive in materia; distinguere, negli avvenimenti della vita, le occasioni nelle quali il silenzio deve essere inviolabile; trattenere con fermezza e con costanza inflessibili tutto ciò che si giudica sia necessario lacere. «E' evidente che queste norme presuppongono riflessione, lucidità e sapienza. Forse pei questo i saggi dell'antichità di covano che per imparare a pai lare bisogna rivolgersi agli uomini, mentre solo gli dèi possono insegnare in modo perfetto come si deve tacere». Gesti misurati, decoro nel linguaggio, vigilanza sulle parole. Un libro inattuale. Insegna il silenzio come controllo e autodisciplina interiore, propone la fuga dal clamore e dalla chiacchiera gratuita, il rifiuto della maldicenza che infanga e del ciarlare vuoto, suggerisce le armi per contrastarele inclinazioni al pettegolezzo, la marca del ricostituente per vincere la debolezza incapace di resistere al parlare inutile. «Il primo grado della saggezza è saper tacere; il secondo è saper parlare poco e moderarsi nel discorso; il terzo e saper parlare molto, senza saper parlare né male né troppo». La parola è pericolo e l'uomo può perdersi. E' una possibilità dirompente che tende a sfuggi le, un ,!,-.,.nói. che . .„i.,*.l •-.> il ■ ischio di ritrovarsi inconsapevolmente prigionieri di una trappola scattata all'improvviso. Una parola infelice, una Irase di troppo, la cautela che senza controllo si trasforma in imprudenza, la frenesia della parola che ammalia, solletica l'io e I alimenta la presunzione, l'inclij nazione al culto di sé che suggei risce sentieri temerari e porta | all'abisso. «Mai l'uomo è padrone di.sé come quando tace» «Il riserbo necessario per saper mantenere il silenzio nelle situazioni consuete della vita, non è virtù minore dell'abilità e della cura richieste per parlar bene». «Non si acquisisce maggiore merito spiegando ciò che si fa, piuttosto che tacendo ciò che si ignora». «Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo: e una lezione per gli impertinenti e una punizione pei i colpevoli). «E bene parlai c solo quando si deve dite qualcosa che valga di più dui silenzio» lUuaìunque sia la disposizione che si può avere al silenzio, è bene essere sempre mollo prudenti; desiderare fortemente di dire una cosa, è spesso motivo sufficiente per decidere di tacerla». Un libro di ieri per la società dello spettacolo di oggi. L'abate Dinouart scrive nella seconda metà del Settecento e insegna l'equilibrio e il tatto. E' un moralista che ha illustri predecessori nel Cortigiano di Baldesar Castiglione e nel Galateo di monsignor Giovanni Della Casa, ma anche nel Breviario dei poli tici secondo il cardinal Mazza tino e nell'Oraco/o Manuale del gesuita Baltasar Gratiàn. Trattati di buona creanza, ma anche pagine di saggezza disincantata, guide di raffinato cinismo per sopravvivere in tempi difficili. E' l'epoca in cui l'uomo si sente insicuro e solo: chiusi i secoli dominati dal pensiero «forte» medievale e crollate le impalcature della visione religiosa della vita, non resta che un cammino insidioso verso un futuro agitalo da ombre. Nelle corti del Seicento e del Settecento, sfarzose agli sguardi ma dominate dall'inganno, solo la prudenza e la simulazione salvano il cortigiano dalle trappole e dai pugnali. Per fortuna ci sono i moralisti. Pronti a sussurrare consigli all'orecchio di lettori bisognosi di certezze, a bi sbigliare massime che non insegnano soltanto la discrezione e la misura, ma anche la finzione e l'astuzia per schiacciare il ne¬ mico. «Non è un caso che questi autori, Dinouart, Gratian, Mazzarino siano ripubblicati oggi e incontrino il favore dei lettori: sono l'espressione dell'epoca barocca, lo specchio di anni di artificio e di ornamento, di apparenze e di ricerca di significati, che ricordano da vicino, molto da vicino, gli anni che stiamo vivendo». Lo dice Gianfranco Dioguardi. imprenditore e professore di organizzazione industriale all'uni versità di Bari, ingegnere e umanista, che a Baltasar Graliàn ha dedicalo un saggio di grande fascino, Viaggio nella mente barocca, pubblicato da Sellerio. «Viviamo nell'epoca della tecnica e del computer: la personalità affronta un conflitto decisivo con una tecnologia che tende ad emarginarla, a piegarla sempre più alle sue leggi. Per questo c'è un ritorno all'individualismo, alla riproposizione dell'individuo come valore, alla sua presenza decisiva c ar¬ moniosa in un mondo che tenta di sottometterlo. L'epoca dell'individualismo è il Barocco. E nei ! nostri anni riviviamo sotto mioI ve apparenze gli stessi conflitti: il culto della forma, l'attenzione ai particolare, la necessità impellente per tutti di avanzare o sparire in una corte che oggi è l fatta di uffici e di manager, di rivalità aziendali e di scalata al successo, di lotta spietata in politica, negli affari, nello spettacolo, ovunque. Come sopravvivere? Come non soccombere? Il gesuita Gratiàn e l'abate Dinouart ce lo insegnano». Anche Gratian, nota Dioguardi, insegna il corretto uso della parola. «Definisce la lingua una bestia selvaggia che una volta scappata è difficilissimo ricondurre alla catena, la chiama passione indomita e ribelle. Perché il linguaggio è potere. E l'uomo prudente non può ritrovarsi spodestato del dominio di se». Mauro Anselmo dm il A sinistra. Sgarbi col pittore Donuetti Sopra. Trombadori

Luoghi citati: Bari, Mazzarino, Parigi