La Libia a parole collabora

La Libia, a parole, collabora L'ambasciatore: mi è stato assicurato l'aiuto alla commissione di indagine italiana La Libia, a parole, collabora Già al lavoro a Tripoli un ispettore del Viminale ROMA DALLA REDAZIONE Una «coincidenza estremamente dolorosa», un episodio di criminalità comune da cui si stendono «ombre che vanno chiarite»: non sarà, quella espressa ieri al nostro ambasciatore a Tripoli, una posizione che può tranquillizzare, ma rispetto alle dichiarazioni rese l'altra sera da Gheddafi in televisione rappresenta almeno un timido passo in avanti. Condoglianze, cordoglio, disponibilità alla collaborazione: per la prima volta, a tre giorni dall'assassinio di Roberto Ceccato, l'ambasciatore Giorgio Reitano si è sentito rivolgere da un rappresentante della Jamahiriah parole di circostanza. E nello stesso tempo il ministero degli Esteri libico si dice disposto a fornire ogni aiuto alla commissione investigativa giunta ieri mattina da Roma. Siamo ancora molto lontani da iniziative formali: assicurazioni e inviti alla distensione, infatti, non giungono da un esponente del governo, ma soltanto dal capo del cerimoniale di Tripoli, Khalil Khalifa. Eppure, a poche ore dalle ciniche dichiarazioni 1i Gheddafi in tv («Spero che quell'italiano avesse una buona assicurazione sulla vita») queste frasi mostrano se non altro un'inversione di tendenza, rivelano una certa volontà di raffreddare il clima. poli parrebbero avvalorare le impressioni di Reitano: accanto all'ambasciata, riprendono dinanzi alla sede consolare le file dei cittadini libici che chiedono il visto d'ingresso per il nostro Paese, come se nulla fosse accaduto. Fra i colleghi del tecnico ucciso gli stati d animo però sono molto diversi. Fino a questo momento, ai dipendenti della «Facco» che chiedevano un immediato rientro in Italia è stato di fatto impedito ogni movimento. Uno di essi, Umberto Bianchi, non ha ancora riavuto il passaporto che gli era stato sequestrato dalla polizia la sera dell'assassinio di Ceccato. Neanche queste decisioni trovano spiegazione: ufficiosamente, la polizia di Tripoli fa sapere che gli amici di Ceccato restano a disposizione, in attesa dello sviluppo delle indagini. Ma finora l'inchiesta pare essersi rivolta soltanto verso palestinesi, siriani, marocchini, algerini: tutta gente che lavora nei pressi degli uffici della «Facco» e che consentirebbe, se scoperta, di avvalorare la tesi del «delitto comune». Finora non è stato interrogato neanche Fulvio Cecchinato, l'uomo che Ceccato aveva accompagnato all'aeroporto la sera del delitto. A Tripoli, ieri mattina, insieme al padre e a un nipote di Roberto Ceccato, è giunto anche il titolare della «Facco», Luigi Fineo, accompagnato dal figlio Nicola. o , a i a è a «Ho avuto l'impressione che da parte libica ci sia tutta l'intenzione di migliorare la situazione: la Libia tiene almeno quanto noi a fare piena luce ! sull'omicidio», commenta nella j tarda serata l'ambasciatore. Poco prima, spiega, ha incontrato su sua richiesta il segretario generale dei ministero degli Esteri, Hosni Shabaan, e il capo del cerimoniale. Alle )1, con il volo da Roma, è sbarcata a Tripoli una commissione italiana che è incaricata di fare luce sull'assassinio del tecnico padova no: a comporla sono Nicola Simone, funzionario del Viminale già impiegato in delicate inchieste sul terrorismo, il medico legale Arturo Pollo Poesio ed un assistente di quest'ultimo, Gianni Bucciarelli. «Le autorità di Tripoli insistono sulla pista della criminalità comune, ma neanche loro sembrano disporre di maggiori elementi — conclude l'ambasciatore —. Dicono di avere ogni interesse a scoprire la verità: purché sia una verità credibile...». Ma le minacce lanciate l'altra sera da Gheddafi come si conciliano con questo lento ritorno alla distensione? Non crede, l'ambasciatore, che gli alti ostili contro lavoratori italiani potrebbero moltiplicarsi? «No, non lo penso. A certe frasi poi bisogna dare il giusto peso: sono espressioni che fanno parte della mentalità beduina». Le scene che si notano a Tri¬ De Micheli!. "Non e credibile che Gheddafi ignorasse il delitto»