Il governo prudente con la libia

Il governo prudente con la libia De Michelis: «Prima di decidere eventuali ritorsioni, vogliamo verificare i fatti» Il governo prudente con la libia Ucciso e bruciato il tecnico italiano a Tripoli TRIPOLI. Gli hanno sparato un colpo di pistola allo stomaco, un altro alla tempia sinistra mentre era già a terra, poi lo hanno cosparso di benzina e gli hanno dato fuoco. Così è stato ucciso, alle nove di sera di mercoledì Roberto Ceccato, 35 anni, tecnico della Pacco, azienda di Campo San Martino (Padova) specializzata in impianti avicoli. Gli assassini lo hanno atteso sulla strada dell'aeroporto, a 22 km da Tripoli. Lo hanno bloccato a 30 metri dal campo dell'azienda italiana, dove i suoi otto colleghi stavano giocando a carte o guardando la tv, e fatto scendere dalla «Fiat Ritmo» di servizio. Poi l'esecuzione. Ieri, anche di fronte a questa prima ricostruzione che stride con un delitto per rapina e che diventa ogni ora più fragile, le autorità libiche hanno insistito sull'«episodio di criminalità comune», promettendo il massimo impegno nelle indagini. Niente di più. Il governo di Gheddafì ha espresso il suo «profondo rammarico» all'ambasciatore d'Italia a Tripoli Giorgio Reitano, ma fino a ieri sera non gli aveva neppure con¬ sentito di vedere il cadavere, identificato soltanto grazie ad un braccialetto d'oro da due suoi compagni di lavoro. Dice Reitano: «Ho chiesto ai ministri della Giustizia e degli Esteri di poter vedere il corpo di Ceccato al più presto. Spero di farlo domani (oggi, ndr), quando arriveranno dall'Italia i parenti, i funzionari della Farnesina e un medico legale». Avete ottenuto altri chiarimenti dalle autorità? «No, ci sono stati due giorni di black-out. Ieri era la giornata di lutto in memoria delle vittime del colonialismo, oggi, venerdì, qui è festa». Lei crede alla versione data dal governo di Trìpoli? «Io so che è cominciata l'inchiesta, e che per ora, da parte libica, viene esclusa una connessione tra l'assassinio e le tensioni anti-italiani di questi giorni. Non ho elementi per esprimere un giudizio». E' vero che qualche giorno fa avete ricevuto un telex a firma «Hammed Ashun» che annunciava un proposito di vendetta? «No comment. Tenga conto che missive di quel tono ne ho ricevute già tante. Sono farneticanti». E' tanto forte in queste ore l'ostilità verso gli italiani? «La temperature era molto alta fino alla sera dell'omicidio, adesso la situazione è più tranquilla. I libici si sono resi conto che qualcosa di gravissimo è accaduto, che si è oltrepassato il limite...». «Un fatto grave e pericoloso». Sono le parole usate anche da Gianni De Michelis. Ma a Roma il ministro degli Esteri non si è sbilanciato. Chiede spiegazioni sull'omicidio, vuole la verità. Soltanto dopo, se sarà il caso, scatteranno ritorsioni contro la Libia. Una scelta cauta in uno scenario politico sempre più teso. Tant'è che l'atteggiamento della Farnesina non ha riscosso consensi unanimi nel governo. Liberali, repubblicani e socialdemocratici lanciano accuse: «De Michelis è troppo pruden¬ te, ci vuole più fermezza». Ma il ministro non ci sta: «Siamo una grande nazione che vuole portare la pace nel Mediterraneo, non fomentare le tensioni». «Non è stata una rapina», dicono invece a Tripoli i colleghi di Ceccato. Hanno paura, vogliono tornare a casa. Il campo della Facco è a sei chilometri dall'aeroporto. Attorno qualche Piccola azienda, una fattoria e Hadba El Kadra, la «collina verde» sperimentale del ministero libico per l'Agricoltura. Poca gente, luogo giusto per un agguato. Mercoledì sera l'allarme è stato dato da quattro operai siriani e un algerino che stavano passando su un furgone: «L'italiano brucia», hanno urlato. Dal cancello dell'azienda padovana sono usciti di corsa Giulio Testa e Giannino Bassetto, poi tutti gli altri. Uno di loro ha raccontato: «Ceccato era bocconi, la faccia affondata nel terreno. Lo abbiamo girato ed è stato orribile. Aveva una vasta ferita all'altezza dello stomaco e la tempia sinistra sfondata. Solo con un estintore siamo riusciti a spegnere le fiamme. Lo stavamo aspettando, Roberto era andato all'aeroporto, ad accompagnare un compagno di lavoro». «Ceccato non era uno sprovveduto — ha detto Luigino Pellizzari — era in Libia dal '79: conosceva bene le regole. Nel campo non si beve, non si parla di politica, non entrano donne. Mai siamo stati minacciati». Tutte cose che in quattordici ore d'interrogatorio i tecnici della Facco hanno ripetuto alla polizia libica. Giannino Bassetto ha avuto un malore ed è stato trasferito in ospedale. Ieri sera si è ripreso ed è tornato al campo. Nelle stesse ore Nicola Finco, 28 anni, titolare della Facco ha lasciato Campo San Martino: «Roberto Ceccato era il responsabile della sede di Tripoli, parlava bene l'arabo, aveva molti amici fra i libici. Lo avevo lasciato proprio mercoledì, verso le due del pomeriggio. Era allegro. Io credo che il clima di questi giorni abbia contribuito alla sua morte e non escludo che l'assassinio sia opera di fanatici. Rapine? Mai subita una». Dario Cresto-Dina

Luoghi citati: Campo San Martino, Italia, Libia, Padova, Roma, Tripoli