A Berlino Est choc da democrazia di Tito Sansa

A Berlino Est choc da democrazia A Berlino Est choc da democrazia La nuova tolleranza sconcerta l'opposizione «E ora non sappiamo come usare la libertà» BERLINO EST DAL NOSTRO INVIATO Gli abitanti della Ddr sono frastornati. Per la prima volta dopo decenni respirano un'aria di libertà che non conoscevano. Possono dimostrare per le strade senza che la polizia intervenga, possono scrivere lettere ai giornali, che le pubblicano, possono discutere con i dirigenti delle fabbriche, possono formare partiti e sindacati, anche se questi non vengono riconosciuti. La Repubblica Democratica Tedesca ò un'orgia di discussio¬ ni, declamazioni, riunioni. Il regime stesso, che aveva imposto obbedienza e tappato le bocche, ò ora il primo a chiedere il dialogo. I giornali di partito pubblicano l'elenco dei comizi nei quali alti funzionari, magistrati, docenti, sindacalisti, poliziotti vanno ad affrontare le critiche e a difendersi. E' tutto avvenuto con una rapidità incredibile, immediatamente dopo la destituzione di Erich Honecker e la nomina di Egon Krenz a segretario generale del partito. La mattina del 18 ottobre vigevano ancora le regole neostalinistc, ora con la «Wendc», la svolta impostata da Krenz, un popolo muto fa sentire la sua voce. «Da una settimana viviamo in democrazia», dice il parroco Rainer Eppelmann della chiesa dei samaritani, uno dei cofondatori di «Iniziativa democratica». Ma ammette subito: «Forse non sappiamo bene cos'è la democrazia e non sappiamo come usarla». Aggiunge: «Nulla ci è slato regalato, i cittadini se lo sono conquistato scendendo nelle piazze, ora siamo proiettati nel futuro». Che cosa vogliono non lo sa nessuno nei sci raggruppamen¬ ti di riformisti costituitisi nella Ddr. Per anni si erano riuniti segretamente, hanno dovuto rifugiarsi nelle chiese come i primi cristiani nelle catacombe. Adesso che possono parlare, annaspano corcando una strada. Non hanno un capo, non hanno un minimo comune denominatore, sono anzi in concorrenza tra di loro. Quattro dei sei raggruppamenti — «Iniziativa per la pace e i diritti umani», «Democrazia ora», «Neues Forum» e «Sinistra unita» — rifiutano di darsi una struttura partitica, il loro futuro è nebuloso. Il partito socialdemocratico e «Iniziativa democratica» invece, avvertito il rischio di parlare nel deserto, stanno formando i quadri con un direttivo e un presidente. Di questi due gruppi fino a un paio di settimane fa facevano parte solo oppositori e dimissionari del partito comunista, adesso i nuovi iscritti sono in maggioranza membri del partito. Nella città di Schwerin, nel nuovo direttivo di «Iniziativa democratica», formato da trenta persone, ben 27 sono funzionari comunisti. «Non vogliamo rovesciare il socialismo — hanno detto tre giorni fa durante un comizio ma cambiarlo dall'interno». Con l'avvento di Egon Krenz, che non gode di grande stima ma viene considerato «forse l'uomo giusto in questo momento» perché non è un ideologo ma un pragmatico, è accaduto un altro fenomeno. I cittadini della Ddr hanno scoperto una identità nazionale, forse anche come reazione di rabbia contro l'arroganza e il paternalismo degli organi di informazione della Germania Occidentale. Mentre prima la gente voleva andarsene via, ora il grido ricorrente è «noi rimaniamo qui». Dice l'attrice Johanna Schall, nipote di Bertolt Brecht: «Perché rimango qui? Perché dove non si è, non si può cambiare nulla». Una riforma si può avere soltanto «con» non «contro» il partito comunista. Ma quale riforma? «Lei mi chiede come sarà il bimbo che porto in corpo», risponde Eppelmann. Nel teatro la «Wende» attuata da Krenz è già diventata perestrojka, da nove giorni a questa parte la censura è inesistente. Al Tip, dove viene messo in scena «Privazione della libertà» di Ulrich Plensdorf (permessa da pochi mesi), gli attori hanno aggiornato ieri i testi senza chiedere il permesso. Anche nel giornalismo si respira aria di libertà: si pubblica tutto (o quasi tutto), l'associazione della stampa ha chiesto al governo di nominare un portavoce e di tenere conferenze con domande e risposte, il governo ha risposto che la cosa «è fattibile». Il problema numero uno della Ddr, quello economico, non ha per il momento la priorità nei fumosi manifesti dei riformisti. Nel Paese dell'operaismo imperante, dove chi non lavora guadagna come chi è attivo, dove il manovale è più pagato dell'ingegnere (il che ha indotto i migliori e più attivi a fuggire in Occidente) è urgente sanare l'economia disastrata applicando il principio del rendimento. Lo hanno capito i più avveduti tra i funzionari del partito e da una settimana hanno fatto proprio questo problema. Il «rinnovamento nella continuità» enunciato da Krenz avviene nel partito. Su tre cose — si constata — le opinioni del regime e dei riformisti coincidono: 1) la Ddr, decima potenza economica mondiale, deve continuare a esistere; 2) bisogna bloccare le fughe verso l'estero; 3) non c'è posto per il capitalismo. Tito Sansa

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