«Medici? Meglio francesi» di Franco Giliberto

«Medici? Meglio francesi» All'Istituto per i tumori di Parigi tra gli emigranti della mutua «Medici? Meglio francesi» Mille accuse alla Sanità italiana PARIGI DAL NOSTRO INVIATO Scusi, lei perché è venuto a farsi curare a Parigi? In una giornata trascorsa a chiacchierare con malati e loro familiari nella ccafeteria» dell'Istituto per i tumori «Gustave Roussy» di Villejuif, i protagonisti dei viaggi della speranza forniscono un ritratto di sé. La categoria non è omogenea: non tutti sono disperati allo stesso modo. C'è chi è invano partito dall'Italia perché non sapeva più che pesci pigliare, dopo le diagnosi infauste ottenute in patria. Chi denuncia la disastrosa situazione assistenziale delia propria regione, dove non soltanto un cancro, ma nemmeno un'ernia al disco ha buone probabilità d'essere trattata a dovere. Chi ò corso qui al primo campanello d'allarme, ovvero al primo sospetto di una malattia tumorale, per ottenere al «Roussy» la vera diagnosi iniziale e un'ipotesi concreta di progetto terapeutico. Chi ha la personalissima curiosità scientifica, chiamiamola così, di verificare se per caso non esista qualche trattamento inedito che tolga dal suo capo la spada di Damocle. E chi si accontenta di sentirsi rassicurare: *Sta seguendo queste cure in Italia? Benissimo». Rimane il fatto che dei 1945 malati italiani ricoverati al «Roussy» nel 1988, il 73 per cento proveniva da regioni meridionali: Sicilia (18,6 per cento), Campania (10,7 per cento), Calabria (8,5 per cento), Puglia (5,8 per cento). In questa che può anche essere considerata una specie di classifica dell'inefficienza assistenziale italiana, seguono Lazio, Sardegna, Basilicata, Umbria. E quindi la Toscana, la Liguria, l'EmiliaRomagna, il Piemonte, la Lombardia, il Veneto. Buoni ultimi dunque il Veneto, la Lombardia, il Piemonte. Come dire primi, per relativa funzionalità: in queste ultime regioni «il deserto oncologico» forse non è così assolato: c'è più di un'oasi. Ma se in due precedenti articoli annotavamo che ventimila italiani l'anno vengono a farsi curare in Francia, quasi diecimila dei quali negli ospedali parigini, varrà la pena di ascoltare qualche testimonianza. «Non sapete dove sbattere la testa? Avete il dubbio di non essere curati come dovreste? Noi possiamo aiutarvi ad andare in un efficiente ospedale all'estero». Cosi, con uno slogan televisivo molto semplice e lapidario (un paio di numeri telefonici apparivano sul video mentre lo speaker rivolgeva l'invito), fino a qualche mese fa un comitato di La Spezia offriva ai malati e loro familiari la possibilità di recarsi al «Roussy» o in altri ospedali francesi. Lisa G., insegnante elementare, racconta: «Avevo avuto un tumore al seno quattro anni fa, ero stata operata a Genova. La scorsa primavera mi erano comparsi dei dolori, tra l'ascella e il braccio. Mi sono spaventata. «Sono venuta a Villejuif per capire di che cosa si trattasse, anche se i medici italiani che mi hanno in cura, sapendolo, storcerebbero il naso. Qui sono stata rassicurata, grazie a sei giorni di degenza e dopo una lunga batteria di esami...». Mariolina S., una signora campana che si definisce casalinga: «Mio marito ha un granuloma maligno a uno stadio intermedio. Sapevamo che si può guarire, sapevamo che era importante, tra l'altro, fare una precisa radioterapia Ma a Sa lerno non c'era verso di ottenerla. «Mancavano le attrezzature. E se ce n'era qualcuna in istituti privati, era di vecchio tipo: si rompeva l'apparecchio, i tecnici spesso erano assenti, aveva¬ mo persino l'impressione che usassero un po' a casaccio gli strumenti. A Roma, Milano, Vicenza, Verona le liste d'attesa erano lunghe. Dovevamo rassegnarci, quando qui al "Roussy" ci sono quattro acceleratori lineari e quattro apparecchi per cobaltoterapia, tutti in funzione 15 ore ogni giorno, in un ambiente che assomiglia a un grand hotel?». Orazio I., commerciante di pesce a Trapani: «In Sicilia avrò fatto venti fra radiografie, esami con la sonda nello stomaco, visite e controvisite. Sapevo di avere l'ulcera e mi curavano per quello. Ma poi un medico francese, venuto in un casa di cura siciliana dove ero ricoverato per una settimana di controlli, mi ha fatto un consulto e ha detto di venire su a Parigi, il più presto possibile, perché era quasi sicuramente un tumore. Altro che ulcera. Ura mi hanno pollalo via un pezzetto di stomaco, spero di stare molto meglio». Virgilio C, pensionato di Novara: «Tumore alla prostata il mio. In Italia non c'erano stati dubbi o disguidi. Da tre anni Erendo degli estrogeni per comatterlo e ultimamente faccio anche un po' di chemioterapia per via orale. Sono d'accordo che in Italia i medici hanno detto e fatto tutto ciò che dovevano, ma sono venuto al "Roussy" per sfìzio, a mie spese, con la paura che prima o poi mi spunti qualche guaio alle ossa. Hanno detto che tutto quel che sto facendo in Italia è più che ragionevole». Nicola L., pubblico esercente di Cosenza: «Non vi sto a descrivere quello che ho passato in Calabria. Avevo un dolore alla scapola e i medici mi dicevano di non lavare bicchieri e tazzine con l'aqcua fredda (soffro di artrosi a dire la verità). Comunque a Villejuif hanno scoperto che ho un piccolo tumore al polmone. «Ora vedremo, mi opereranno forse. Il guaio è che non capisco il francese e mia moglie ancora meno di me». Clara G., infermiera di Temi: «Hai visto che casino a Roma? Dai retta a me, vattene a Parigi. Questo è stato il consiglio dello stesso primario d'ospedale in cui lavoro. Per fortuna il nostro Servizio sanitario mi paga le spese, anche se mi è stata necessaria una laboriosa, estenuante pratica amministrativa. Ma non sono pentita di essere venuta a Villejuif. «Ho dei problemi al pancreas, mi è già capitata una itterizia preoccupante. Spero solo che non mi debbano operare. Sono pronta a prendere qualsiasi farmaco nuovo, anche a fare da cavia. Nel frattempo scriverò una cartolina da Parigi al ministro della Sanità: non si ammali in Italia, caro De Lorenzo...». Franco Giliberto

Persone citate: De Lorenzo, Gustave Roussy, Mariolina S., Orazio I., Roussy