I camionisti restano soli di Giuseppe Zaccaria
I camionisti restano soli Chiesto l'intervento del prefetto di Taranto: «la fabbrica rischia di chiudere» I camionisti restano soli Curia e sindacati contro il blocco dell'Uva TARANTO dal nostro inviato «A noi non interessa se ad aver ragione siano i camionisti oppure la fabbrica, qui migliaia di persone rischiano il posto di lavoro. Lei, signor prefetto, deve intervenire». Può darsi che di qui a qualche anno questa frase sia destinata a entrare in un manuale di storia del sindacato: in questa evenienza, converrà precisare che a pronunciarla, esattamente alle 10 e 32 minuti, è Emiddio Loperfido, segretario provinciale del settore industria Cisl, in un ! assolato salane della prefettura. Il piazzale dell'Uva, l'azienda siderurgica nata dalle ceneri dell'Italsider, continua ad essere invaso e bloccato dai camion di tre, quattrocento «padroncini» riuniti in sindacato. Gli operai, più di 6500, restano in cassa integrazione. Fra quattro giorni, su quel piazzale Giovanni Paolo II dovrebbe parlare dinanzi a 40 mila persone. Domenico D'Amico, leader dei camionisti e ispiratore del blocco, dichiara: «Il Papa può anche venire, ma noi di qua non ci muoviamo». Eppure nella «vertenza Taranto» qualcosa da ieri è cambiato. Adesso Egidio Cellie, il prefetto, è veramente solo. I sindacati gli hanno detto: «Si muova». Il pei, poco più tardi, gli ha ripetuto la stessa esortazione. In un comunicato Firn, Fiom e Uilm definiscono «molto grave» il suo atteggiamento, preoccupante il fatto che il rappresentante del governo non abbia formulato «alcuna proposta in grado di garantire l'immediato rientro al lavoro di migliaia di persone». Comunque si voglia definire questo blocco, sempre più in bilico fra un «modello cileno» e suggestioni da fronte del porto, ormai è chiaro che l'agitazione non può continuare. Lo chiedono i sindacati, lo sollecitano i partiti, lo pretendono da Roma il ministero dell'Interno e in qualche misura perfino il Vaticano. «Il programma della visita di Giovan¬ ni Paolo II resta inalterato», si affanna a far sapere l'arcivescovo, Salvatore De Giorgi. Ma, fatto davvero sorprendente, anche i messaggi della Curia cominciano a giungere con toni sempre più irati. Ormai accanto ai camionisti in rivolta non è rimasto proprio nessuno: e Domenico D'Amico, il leader, comincia a rendersene conto. Ieri pomeriggio, in un albergo, poco prima di una riunione che pure si annunciava decisiva, ha detto, con tono disincantato: «Questo incontro difficilmente porterà a uno sbocco: temo sia solo un escamotage per creare confusione». Ma l'impressione è che anche lui stia perdendo il controllo della situazione. Si tratta, in queste ore. proprio sul filo di una situazione estrema. D'Amico e i suoi lamentavano, fino a ieri, di non aver potuto incontrare neanche una volta i vertici della fabbrica. Ieri sera l'Uva ha mandato un suo rappresentante a seguire un incontro voluto dalla Fedcracciai, ed al quale lo Snat, il sindacato dei «padroncini», è stato formalmente invitato. Il prefetto Cellie continua a dirsi ottimista. «Tra Uva e camionisti — dice — le distanze sono solo teoriche, domanda e offerta non si sono incontrate solo perché finora non c'è stata volontà d'incontro». Trascura forse, il rappresentante del governo, il divario incolmabile fra una condizione di monopolio che i «padroncini» intendono addirittura veder sanzionata da un patte scritto e il deciso «no» di un'azienda che è costretta a verificare le possibilità di rilancio anche attraverso queste scelte. Si continua a trattare fino a tarda sera, in una prospettiva che si fa sempre più secca: o i «padroncini» accettano di rifarsi al contratto nazionale e di trattare volta per volta eventuali condizioni di miglior favore, o bisognerà pensare a uno sgombero. Anche se il prefetto si chiede: «Le persone, quelle sì, posso farle mandar via dai carabinieri. Ma i camion?». Giuseppe Zaccaria
Persone citate: Cellie, D'amico, Domenico D'amico, Egidio Cellie, Loperfido, Salvatore De Giorgi
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