UN NEOREALISTA AL MIELE di Cesare Zavattini

UN NEOREALISTA AL MIELE UN NEOREALISTA AL MIELE A morte di Cesare Zavattini (era nato a Luzzara il 20 settembre 1902, da poco aveva compiuto 87 anni) ci colpisce come lettori e spettatori: sembra una notizia inventata, ci pare che l'autore non avrebbe smesso mai di conversare, traendo fuori dall'inesauribile armadio dei suoi ricordi gli scampoli di una storia autentica del cinema italiano. Chi ha avuto l'avventura di chiacchierare con Zavattini conosce l'interminabile flusso delle sue opinioni, quegli interventi che pareva non volessero arrestarsi mai. Zavattini è stato, nel bene e nel male, una colonna fondamentale del cinema italiano: forse solo nella sua mente il neorealismo è una poetica ordinata e accettabile, negli autori che hanno fatto grande la scuola neorealistica (Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Ro¬ berto Rossellini) la nuova creatura di poesia aveva sorrisi e ironie diversi. Oggi, a distanza di un tempo conveniente, si ritrova nel neorealismo un elemento mellifluo e cronachistico che forse dobbiamo imputare proprio allo scomparso. Cesare Zavattini entrò nel cinema nel '35, scrivendo con Mondaini il romanzo che poi diventò soggetto di «Darò un milione» («Non credo di essere entrato nel cinema con una coscienza critica — dirà —. C'era una cospicua vitalità narrativa, un bisogno di raccontare e questo esisteva a vari livelli. Non avevo il sospetto di tutto quello che poi mi è accaduto dal '43 in poi»). Zavattini spiegherà più tardi, nel 1952, una sua idea di neorealismo: «"Paisà", "Roma città aperta", "Ladri di biciclette", "La terra trema" contengono ognuno alcune cose di una significatività assoluta, che rispecchiano il concetto del tutto raccontabile, ma sempre in un certo senso traslato perché c'è ancora un racconto inventato, non lo spirito documentaristico... Il neorealismo è oggi come un esercito pronto a mettersi in. marcia: i soldati ci sono. Sonò dietro Rossellini, De Sica, Visconti. Occorre che questi soldati partano all'assalto; allora la battaglia sarà vinta». Come si sa, la battaglia non ci fu e, del resto, lo stesso Zavattini da ultimo, col suo intervistatore Giacomo Gambetti, aveva parole molto dure sul neorealismo. Da Sciuscià a La veritàaa Chi scorre tutta la filmografia di Cesare Zavattini, dal primo «Darò un milione» (1935) all'ultimo «La veritàaa» (1982), trova che lo scrittore emiliano è stato all'origine delle opere più diverse e che la sua influenza è stata molto ampia: da «Avanti c'è posto...» ('42) a «Quattro passi fra le nuvole» ('42); da «I bambini ci guardano» ('43) a «Sciuscià» ('46); da «Ladri di biciclette» ('48) a «Umberto D.» ('52); da «Miracolo a Milano» ('51 ) a «L'oro di Napoli» ('54); da «Bellissima» ('51 ) a «La ciociara» ('60). Ma anche «Canzoni di mezzo secolo» C52), «Donne proibite» C53), «Torero!» ('56), «Il boom» C63), «Amanti» C68). Nell'82 Cesare Zavattini volle compiere finalmente il grande passo. Prima erano stati semplici documentari, ora avrebbe diretto un vero film, «La veritàaa» che era quasi un manifesto programmatico. Se uno spettatore ha visto quell'opera prima di un genio al tramonto la ricorda non per le virtù formali, ma per la fede polemica che la animava, con lo stesso regista nei panni bianchi del matto-savio che giudica il mondo nel momento in cui pare esserne giudicato: la produttrice Marina Piperno ha raccontato il clima da congiurati in cui si svolse la lavorazione, all'inizio non si trovava un attore adatto alla parte del protagonista, finché nacque l'idea semplice: «Fallo tu!». Cesare Zavattini si occupò molto anche di giornali e di fumetti, inventò tutto in Italia, a lui devono farsi risalire molte nostre abitudini. Raccogliendo in volume alcuni soggetti degli Anni 30, esibì il libro con un misto di ironia c affetto. Ci disse: «Troppe storie, troppa realtà». Ha scritto un poeta zavattiniano, Tonino Guerra: «Cesare Zavattini è il padre di tutti noi. E' la più grande macchina poetica di invenzioni di questi primi ottant'anni di cinema». Stefano Reggiani

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