«IO ALUNNA DI WODEHOUESE» di Bruno Quaranta

«IO, ALUNNA DI WODEHOUSE» «IO, ALUNNA DI WODEHOUSE» LTORINO UNGO le autostrade di questo nostro mondo balzano (letterario e no) si avverte di tanto in tanto la necessità di una pausa refrigerante. Meglio se la piazzuola offre un dondolo su cui oscilla una penna femminile che non pensa all'immortalità. Stefania Bertola, con «La luna di Luxor», «un libro da amare e dimenticare» (Longanesi, pp. 168, L. 19.000), assolve a questo compito filantropico: offrire un uncino umoristico ai viaggiatori spesso storditi che siamo. L'autrice denuncia quasi trentotto anni, ma la sua levità e ormai favolistica e disneyana disposizione al bricolage («Uso una Olivetti lettera 32 acquistata a rate, non credo che saprei parlare con il computer») sono cifre di altre stagioni, al di qua della linea d'ombra. Voce italiana di Updike, Sontag, Me Ewan, due bambine, per marito «un serissimo docente universitario», collaborazioni con la Rai e Cosmopolitan, una militanza in Casa Einaudi, Stefania Bertola torna al romanzo dopo tre lustri. «Ma solo adesso scendo nell'agone. Il primo tentativo — "Metri e metri di preziosissimo merletto di Bruxelles" — è rimasto tale. E così il secondo, che proposi a Calvino. Non gli dispiacque, ma neanche lo sedusse: devi ancora lavorare, e molto, mi congedò». «Luna di Luxor» è una scoperta di Mario Spagnol, direttore editoriale della Longanesi. «Mi ha accolta come il Tom Sharpe nostrano — ricorda Stefania Bertola, il volto gotico, misterico, docilmente inquieto —. Un gemellaggio che non avallo, difettandomi la carica eversiva del pennellatore di "Paesaggio con macchia". Se proprio devo indicare un ascendente, questi è Wodehouse». Il creatore di Jeeves non definiva le sue opere «commedie musicali senza musica»? E Stefania Bertola, alunna del Diletto («solo per questo scrivo»), gli fa eco: «Vorrei che la mia "Luna" sortisse un effetto disintossicante, balsamico, come una commedia con Fred Astaire, di quelle che la televisione qua e là richiama in servizio». Il «lampeggiatore» inglese non orchestrò il suo capolavoro intorno al furto di una scrofa amorosamente ingrassata? E la subalpina signora, magari a mo' di portafortuna, incastona nella sua trama un allevatore di suini e la rampolla d'una dinastia di pastai parmensi (clienti dell'allevatore) destinati — potenza delle affinità elettive — a incrociare i loro destini. La «Luna» di Stefania Bertola illumina i sentieri di due matrimoni. Uno che non s'ha da fare (e si farà) fra lo «sfrenato, drogato, maledetto» divo rock Snake e una lady «sangue blu» promessa all'erede del trono cecoslovacco («quando cacceranno i comunisti»). L'altro, che s'ha da fare (ma non si farà), fra un playboy pianista di grido e l'aspirante giornalista Miranda, a cui sarà fatale la voglia di scoop. Tra Parma, la Costa Azzurra e la Scozia oscilla la «Luna di Luxor» («il film iperumano» di Snake). Una passerella dove ci si bacia «durante il coq au vin», si fa body building con «due batticarne del sedicesimo secolo», le spalle sono «eburnee», si demoliscono «con elegante voracità poderose alzate di ostriche à la déesse». Scenari familiari a Stefania Bertola? «Il jet set, sì, talvolta mi è capitato di frequentarlo. Del pianeta rock, invece, sono solo-spettatrice, da sempre. Il mio sogno, mai dismesso? Sposare Eric Clapton». Scampoli mondani ritratti con inchiostri corrosivi...«Ma no — oppone la scrittrice —. Non avevo alcuna intenzione di mettere alla berlina. Mi interessava unicamente offrire un'occasione di frescura». Giù lo staffile, dunque. Ma anche i fazzoletti, la valeriana, i sali. «Nel mio libro — avvisa Stefania Bertola — è assente il sentimento e, quindi, il dramma». Ogni evento giunge in tavola anestetizzato, voltato com'è in gag. Le pistole sparano, ma il fiotto rosso che liberano è una miscela chimica, non sangue; l'oppio è fumato «in modo assolutamente filologico, à la De Quincey»; le forche sono di cartapesta, limitandosi, le figurine di Luxor, a sguardi «stile processo di Norimberga». Un comico parto, dunque. Paradossalmente allevato in una città — Torino — che calamita aggettivi crepuscolari, freddi, metallici. «Mica vero — corregge Stefania Bertola —. Non militano forse sotto la Mole Frutterò & Lucentini, le firme più divertenti d'Italia? E poi: il clima, questo autunno a mezze tinte, riposanti, quiete, pacificatrici...Sono le muse di storie liete, ilari,..». Magia delle parole. La signora, allontanandosi, cede il passo a un personaggio della ditta F&L, al ricordo dell'avventura che gli toccò in sorte: «L'avevano irretito, forse, ma con un'altra leggendaria caratteristica torinese: lo charme d'impossibile definizione che stava sotto la crosta scontrosa della città, e che ogni tanto emergeva, irresistibile, perché inaspettato...». Bruno Quaranta Stefania Bertola

Luoghi citati: Bruxelles, Italia, Norimberga, Parma, Scozia, Torino