Che fatica far musica, maestre

Che fatica far musica, maestre Inchiesta sulle donne compositrici, che hanno tenuto a Milano il primo convegno nazionale Che fatica far musica, maestre Molti ostacoli, ma il pubblico è pronto a sentirle MILANO DAL NOSTRO INVIATO La decana delle compositrici italiane, l'ottantacinquenne Barbara Giuranna, si vide negare un premio per un suo brano musicale «solo» perché donna. Capitava all'inizio del Novecento. Ma ancora nel '76 c'è chi si è sentita chiedere all'esame finale di composizione, al conservatorio Santa Cecilia di Roma, se nonostante fosse una donna avrebbe continuato a comporre musica: «A togliermi dall'imbarazzo ci pensò il maestro Goffredo Petrassi che tagliò corto: "donna o uomo non fa distinzione, purché siano bravi"», ricorda Ada Gentile, oggi contesa dalle principali rassegne di musica contemporanea in Italia e all'estero, in procinto di partire per New York, dove al Carnegie Hall, uno dei massimi templi della musica, saranno eseguite alcune sue opere. Prima, però, ha fatto tappa a Milano per partecipare assieme ad altre cinque colleghe — Sonia Bo, Elisabetta Brusa, Biancamaria Furgeri, Silvana Di Lotti, Andreina Costantini, esponenti di varie tendenze musicali — al primo convegno nazionale «Donne compositrici» (organizzato dall'Endas in collaborazione col Comune di Milano e il Centro Azione Milano Donne) in cui sono stati eseguiti i loro brani più significativi. «Un'occasione per verificare un aspetto che non ha ancora trovato una precisa collocazione nella mappa culturale del nostro paese. Eppure sono convinto che il pubblico è pronto a sentire la loro musica», dice il maestro Adriano Bassi, organizzatore della rassegna. Le compositrici italiane contemporanee di musica «colta» non superano le dita di una mano. Anche se vantano ambiti riconoscimenti italiani e internazionali e vedono eseguite le loro opere in molti Paesi, non sono note ài grande pubblico come invece, generalmente, le autrici pop. Per intenderci, non hanno la popolarità di una Gianna Nannini, peraltro in compagnia di molte altre (forse perché il pop è un genere trasgressivo e quindi con meno tabù nei confronti della presenza femminile?). Un rapporto ancora difficile quello tra musica classica e donne? «Solo sul piano della composizione, perché tra cantanti e strumentiste la presenza delle donne è piuttosto nutrita. E forse non si è ancora indagato abbastanza sull'influenza della committenza femminile nella musica dell'Ottocento: la musica da salotto era un rito di donne. Così per il fiorire dei madrigali cinquecenteschi le donne delle corti hanno contato molto. Il ruolo del compositore è stato sempre molto influenzato dall'ambiente sociale — sottolinea Andrea Lanza, musicologo ed esperto di musica contemporanea —, basti pensare che per diversi secoli l'Inghilterra non ne ha avuti degni di nota perché era un'attività che non godeva di un buon status symbol. Oggi, comunque, non credo che vi siano preclusioni da parte del pubblico nei confronti delle compositrici, piuttosto è la musica contemporanea che fa fatica a passare nelle sale da concerto». Ma anche volgendo lo sguardo al passato, ad altre correnti musicali, non si può però dire che ebbero maggior fama compositrici di grande talento come Francesca Caccini, figlia di Giulio, la prima donna a scrivere un'opera (nel 1624), La liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina, o Clara Wieck (moglie di Schumann). Lo stesso vale per Fanny Mendelssohn, adorata ma poco incoraggiata sorella di Felix. Il più famoso fratello pubblicò diversi Lieder di Fanny sotto suo nome, salvo poi scrivere alla madre che la sorella «non ha inclinazione per il comporre. Troppo donna per questo. E' una casalinga perfetta, e non pensa al pubblico e al mondo musicale, e neppure alla musica, prima di aver compiuto tutti i propri doveri di donna di casa. La pubblicazione delle sue composizioni non farebbe che disturbarla in queste mansioni e io non posso che disapprovare». E infatti Fanny non compose quasi più. E più vicina a noi Alma Mahler, moglie del tormentato Gustav. «Che alcune donne abbiano continuato a creare musica, superando tutti gli ostacoli frapposti dai maschi, è davvero un miracolo», scrisse qualche anno fa la cantante musicologa Cathy Berberian (appassionata ricercatrice della musica «colta» scritta anche da mani femminili), convinta che «se non ci sono stati geni musicali femminili, lo si può attribuire solo a un fatto: la composizione è arte che, più di ogni altra, richiede preparazione completa e opportunità di ascolto senza pregiudizi, condizioni queste verificatesi raramente per le donne». «La composizione è unisex, oggi ci sono problemi a emergere per tutti; io, comunque, non ho trovato difficoltà e tutto è andato come volevo e senza rinunce. Certo, sono stata fortunata perché ho avuto un'ottima insegnante come Irma Ravinale», ammette Ada Gentile. La torinese Silvana Di Lotti non nasconde un certo fastidio nell'essere ancora considerata una «stranezza» perché perla rara: «Voglio essere considerata alla pari di un compositore e cerco di lavorare in questo senso». E si arrabbia nel constatare come, ancora oggi, molte sue allieve di composizione (al Conservatorio di Torino) siano spesso pronte ad abbandonare la musica per problemi familiari. In effetti sono molte le allieve di composizione che si perdono per strada durante i dieci anni del corso. Compositrice in erba già a 7 anni («ovviamente improvvisavo»), allieva di Petrassi («ero l'unica donna, ma non faceva distinzioni»), torinese di famiglia e romana d'adozione (attualmente è direttrice del Conservatorio Santa Cecilia), Irma Ravinale ha una lunga esperienza di didatta in campo musicale: «Le donne devono combattere soprattutto con se stesse per superare le proprie timidezze. Ho constatato spesso come un uomo anche quando ha composto una cosa modesta è comunque convinto di aver fatto chissà che, mentre una don¬ na è sempre pronta all'autocritica. E' importante invece che impariamo a credere in noi stesse perché già da "fuori" ci arrivano cazzotti. Io dò sempre una mano alle giovani allieve perché le donne devono pagare tre volte di più per riuscire». E si capisce che per la sua generazione di compositrice non dev'essere stato facile. Sonia Bo, con i suoi ventinove anni, forse è la più giovane compositrice italiana già affermata e molto eseguita anche all'estero (come le altre presenti a Milano, è stata presentata cavallerescamente da un compositore, il torinese neo-romantico Gianni Possio). Sposata, con un figlio piccolissimo, Sonia Bo sembra sfatare l'idea romantica legata al comporre musica su ispirazione: «E' un lavoro impegnativo che costa molta fatica ma, credo, come per tutte le donne che svolgono delle attività; in più c'è il fatto che non si chiude mai, e così può succedere che mentre allatti il figlio pensi a come completare un brano musicale. Il problema vero è quello di ritagliarsi il tempo necessario in mezzo ai tanti impegni familiari». Un equilibrio difficile, ma evidentemente possibile. Ma questa differenza nella vita di tutti i giorni rispetto a un uomo, influisce anche sulla musica? «La musica è universale e le compositrici semmai si distinguono per correnti stilistiche — risponde Andrea Lanza —; se c'è una connotazione femminile è voluta e costruita». «La musica è del tutto androgina, non vedo differenze; io, ad esempio, prima ascolto la musica e poi guardo il nome», dice la musicologa Rossana Dal Monte (ma ammette con molta sincerità di conoscere poco le compositrici contemporanee italiane). Dal Monte è convinta che le maggiori difficoltà nascano quando una donna sale sul podio. Non a caso le direttrici d'orchestra sono pochissime, «perché esposte al confronto diretto di una compagine composta in prevalenza da uomini». Stefanella Campana Elisabetta Brusa Andreina Costantini e (sopra) Ada Gentile