Europa colonia di Wall Street di Ugo Bertone

Europa, colonia di Wall Street La crisi dei mercati dimostra la dipendenza della finanza Cee dagli Stati Uniti Europa, colonia di Wall Street E Piazza Affari resta una Borsa mammouth MILANO. L'Europa delle Borse è in balia di Wall Street. Sembra questa la lezione dell'altalena delle ultime 48 ore: giù lunedì mattina sull'onda del calo di venerdì negli Usa, su nella tarda serata di lunedì (con l'eccezione di Piazza Affari) sulla spinta del recupero a Wall Street. E ieri la parabola è stata ancor più clamorosa: netta ripresa in mattinata e poi una flessione dei listini, Londra e Parigi in testa, per timore delle reazioni al deficit commerciale Usa. A Tokyo gli scossoni in arrivo dalla finanza americana hanno provocato oscillazioni modeste: un calo dell'1,8% il primo giorno, un recupero analogo il secondo giorno. La Cee, insomma, così pronta ad affrontare le dinamiche della moneta comune del coordinamento valutario e della libera concorrenza industriale, sembra una semplice colonia in fatto di finanza. E gli operatori delle Borse, così pronti a cogliere le novità delle statistiche monetarie o comunque i fondamentali dell'economia Usa, sembrano ignorare a bella posta la realtà delle situazioni europee. Perché? C'è da distinguere tra ragioni «serie» ed emozioni. Innanzitutto le prime. Dietro il ribasso americano ci sono cause profonde, destinate a riflettersi l'anno prossimo in Europa. I profitti delle società americane sono in caduta dal secondo trimestre dell'anno, sull'onda di una massiccia richiesta di aumenti salariali. Una circostanza del genere è destinata a riflettersi nel giro di pochi mesi in Europa ove si sta entrando (come negli Usa) nell'ottavo anno di crescita senza recessione. Non solo. L'euforia vissuta tra l'87 e l'89 è strettamente correlata alla liquidità iniettata nel sistema dopo il crack dell'ottobre nero. E' successo negli Usa e in Europa. Oltre Oceano, Greenspan ha dovuto correre ai ripari nella scorsa primavera per evitare un'esplosione dell'inflazione. In Europa, la Bundesbank si è mossa poche settimane fa sulla stessa lunghezza d'onda. Insomma, il ribasso è una cosa seria. In Europa i fenomeni economici tendono a riprodursi nella stessa maniera che negli Stati Uniti con pochi mesi di intervallo. Il nervosismo rispetto a Wall Street, perciò, è giustificato. Ci sono poi le ragioni più «futili». In realtà le Borse Cee sono del tutto prive di coordinamento e la storia ha imposto tempi e modi diversi alla crescita dei mercati azionari. E succede così che Francoforte, il mercato più austero ed espressione dell'economia più forte, reagisca con più violenza degli altri (— 10% al ribasso lunedì e ieri + 5,90) e che Londra, la Borsa più speculativa e nervosa del vecchio Continente, sappia invece contenere l'oscillazione in limiti assai più modesti (— 3,14 e addirittura — 1,69 il secondo giorno). I motivi? A Francoforte, Borsa bancaria e nervosissima di fronte ad ogni novità, si dirigono gli ordini delle grandi banche internazionali fidando nell'efficienza teutonica che garantisce l'esecuzione nell'arco di pochi minuti. A Londra, filiale europea del grande mercato mondiale che ha terminali a New York e Tokyo, agiscono tensioni di origine diversa, in bilico tra il vecchio e il nuovo Continente. Ma forse la parabola più divertente del mercato finanziario europeo è quella di Bruxelles: il software imposto ai computer per evitare oscillazioni speculative è stato così rigido che tutto è andato in tilt, sia lunedì che martedì. L'Europa delle Borse, insomma, può evitare il gelo di Wall Street grazie alla burocrazia telematica di stampo eurocrate. E l'Italia? Francesco Micheli ha parlato di «Borsa mammouth». Piazza Affari è stata l'unica, nella serata di lunedì, a non recepire le spinte al rialzo in arrivo da Wall Street. Ieri, tutto sommato, non c'è stata pressione al ribasso quando sono giunte le prime indicazioni al ribasso da oltre Oceano. E il dibattito tra gli esperti si è limitato, di fronte al massiccio fronte delle vendite della mattinata di lunedì, alla solita polemica tra i gruppi che non intervengono (falso), i fondi assenti (per ora vero) e le banche che non frenano la corsa dei borsini (in buona parte falso). Ancora una volta si è avuta l'impressione di essere alla periferia dei listini, protetti da vincoli amministrativi e da quella rete protettiva che s'invoca nei momenti del bisogno. Ma nessuno ha colto l'occasione per chiedere di accelerare l'iter di quella riforma che dovrebbe permettere alla Borsa italiana di operare con intermediari dalle spalle robuste, in piena concentrazione di affari e con una struttura elettronica in grado di sostenere un volume di affari degno dell'economia italiana. Ugo Bertone

Persone citate: Francesco Micheli, Greenspan