Un vizio vecchio nel «nuovo corso» di Giovanni Trovati
Un vizio vecchio nel «nuovo corso» Un vizio vecchio nel «nuovo corso» LA «forte tensione unitaria» — la frase è di Marini — non ha retto alla ripresa dell'autunno sindacale: le tre confederazioni si sono divise sulla Finanziaria, sul costo del lavoro, in particolare la riduzione dell'orario, sul processo Fiat a Torino. La Cgil si ostina a seguire tuia strada che la isola dalla Cisl e dalla Uil, e la sua condotta appare condizionata da esigenze proprie che si sposano con le esigenze del pei. Il partito di Occhetto, per coprire il profondo disagio culturale, accentua il movimentismo e lancia insistenti segnali di opposizione dura a tutti i livelli. La Cgil è sollecitata ad accoglierli per ricuperare spazio dopo il lungo periodo di disorientamento. Ritorna a tendersi la cinghia di trasmissione che Lama definiva un «peccato originale». Nel pei la tentazione di strumentalizzare il sindacato ha resistito a tutti i mutamenti di corso: la Cgil ha avuto impennate di orgoglio autonomista, ma nei momenti delle scelte importanti ha seguito i dettami di Botteghe Oscure. Una storia vecchia. Già nel novembre '46 Togliatti insisteva perché si stabilisse un rapporto stretto tra il partito e il sindacato; e trent'anni dopo Trentin traduceva la richiesta, con .opportuno aggiornamento, escludendo che il sindacato abbia un atteggiamento di indifferenza vèrso il quadro politico. La Cgil privilegia i comportamenti che possano aumentarle i consensi. Ha dato un giudizio negativo sulla Finanziaria del governo Andreotti, anche se accetta di continuare i colloqui. Cisl e Uil non si sono dichiarate entusiaste, ma ne condividono le linee di fondo, perché non vedono soluzioni alternative che approfittino meglio della «congiuntura alta». Storicamente il «no» del sindacato comunista alle politiche dei governi è una costante. Nel luglio '46 Di Vittorio provocò una profonda lacerazione del sindacato unito — la prima volta dal Patto di Roma del '44 — per criticare il piano del ministro del Tesoro Corbino, mentre gli I esponenti della corrente cattolica, guidati da Grandi, erano di parere diverso. Sui contratti la Cgil si allinea alle indicazioni del pei, specie per le 35 ore. Nella primavera del 1988 Occhetto e Bassolino lanciarono la proposta di scendere a 35 ore la settimana in attesa di arrivare alle trenta in un tempo non definibile, ma non lungo. L'immediata reazione dei sindacati fu di insofferenza verso un partito che interveniva nei rapporti di lavoro. Pure la Cgil si dimostrò scontenta dell'invasione di campo, ma un anno dopo, primavera del 1989, nel convegno di Chianciano si appropriò dell'idea delle 35 ore (con ima divergenza tra l'ala dura che le voleva subito e Trentin che consigliava di procedere per gradi) e adesso ne fa una bandiera per i prossimi contratti, al fine di dare più tempo libero ai lavoratori e di creare nuova occupazione. Cisl e Uil ritengono che sia più concreto trattare su aumenti di salario e sulla flessibilità. Osservano che le 35 ore, dove già sono state sperimentate, non hanno portato nuovi posti di lavoro, e che l'opposizione non viene soltanto dagli imprenditori, ma dalla maggioranza dei lavoratori. Le 35 ore avrebbero un significato se si abolissero gli straordinari; ma come si può chiedere oggi di rinunciare agli straordinari, quando gli operai accettano di lavorare anche 44 ore la settimana? Per il caso Fiat la Cgil, portando la controversia in sede giudiziaria, spera di riaffermare nella fabbrica quel monopolio che aveva perso dieci anni fa. Cisl e Uil invece intendono regolare ogni controversia trattando direttamente con la controparte, senza rilasciare deleghe a nessuno, neppure ai giudici: è una questione di autonomia e di forza contrattuale. Anche qui la Cgil cammina a fianco del pei facendo rivivere la cultura dell'antagonismo ad ogni costo che vede nell'imprenditore il nemico di classe. Quanti peccati originali deve ancora vincere il nuovo corso comunista. Giovanni Trovati ZA
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