la Parigina invecchiata di Masolino D'amico
la Parigina invecchiata Pierlombardo, la stagione aperta l'altra sera con Becque la Parigina invecchiata La regia di Vecchiali non rende giustizia alla cattiveria dell'autore Raffaella Azim, attrice dotata, qui risulta troppo moderna MILANO DAL NOSTRO INVIATO La stagione del Teatro Franco Parenti è stata inaugurata da «La parigina» seguita dall'atto unico «Vedova!», entrambi di Henri Becque. Di questi testi lo storico vi dirà che furono scritti il primo nel 1885, il secondo, una dozzina di anni dopo; e che il primo costituisce probabilmente il capolavoro di Becque, autore che non conobbe mai il successo pieno e incontrastato dei poco più anziani Scribe, Dumas figlio, Sardou, per la sgradevolezza programmatica delle sue commedie borghesi, nelle quali come egli stesso osservò certi lenocinli convenzionali non figurano mai: niente matrimonio come coronamento felice di una vicenda, niente personaggi accattivanti come il brav'uomo per cui parteggiare, o il brillante intrattenitore. Al centro de «La parigina» c'è una donna amorale, almeno secondo le convenzioni di allora, in quanto amministra con freddezza la propria vita affettiva: celebre la prima scena in cui ella subisce una scenata di gelosia da un uomo che solo in un secondo tempo apprendiamo non essere il marito, ma l'amante. Per due atti Clotilde si barcamena fra i due con perfetta efficacia, e quando alla fine del secondo si accorge di non essere felice, si libera del più importuno, salvo riprenderselo dopo la breve passioncella per un giovinetto che le ha fatto versare qualche lacrima, ma che allo stesso tempo le ha consentito di far progredire la carriera del marito. In «Vedova!» vediamo Clotilde nove anni dopo, improvvisamente orbata del coniuge, in atto di aprire le lettere di condoglianze e di valutare ancora una volta se sia il caso di ridare spazio al solito corteggiatore invadente ma tutto sommato manovrabile. Della serata il cronista vi dirà che è andata avanti senza intoppi e senza suscitare entusiasmi eccessivi. Divisa in due parti di un'ora ciascuna, ha suscitato cortese attenzione e qualche sbadiglio, e al termine, applausi educati; ancora una volta, come l'altro ieri a Roma, con «Piccola città», si è avuta la sensazione che la gente trovasse la commedia invecchiata. E come in quel caso, è ingrato compito del critico di affibbiare la responsabilità di un successo mancato all'esecuzione. Chi ha ascoltato i volonterosi semidilettanti diretti da Olmi non ha ascoltato «Piccola città». E la regìa riduttiva, senza ritmo, del pur simpatico regista cinematografico còrso Paul Vecchiali (già tanto amato dal compianto cinéphile Paolo Ungari) non rende giustizia né alla cattiveria né all'aggressività del testo di Becque. Il quale opera all'interno di un universo teatrale ben consolidato, del quale bisogna quindi dare un'idea. Mentre al Salone Pierlombardo abbiamo visto una scena (di Lise-Marie Brochen) quasi vuota, rappresentante un interno qualunque, con pochi mobili accoppiati come capita, senza alcuna attenzione per il periodo; e fuori dalle vetrate, una qualunque ve- duta di Parigi. I costumi (della stessa Brochen, e di Daniela Verdenelli) sono allo stesso modo generici, «brutti». Ora questo era probabilmente tollerabile a Parigi, dove Vecchiali ha allestito lo stesso testo tempo addietro; ma i francesi hanno succhiato il loro tardo Ottocento col latte materno, e non hanno bisogno di vederselo ribadire. Mentre per il nostro pubblico sembra indispensabile ambientare fortemente «La parigina», dove tanto si parla di arrampicamento sociale, di mezzi, di velleità, nel demi-monde, con il suo lusso volgare e con i suoi sottofondi di sordidezza; questo è teatro borghese, legato al realismo borghese, e non tollera messinscene vaghe, dimesse. Ibsen, Strindberg, possono essere affidati alla sola forza delle parole e della situazione; Becque, no. E veniamo alla protagonista. Raffaella Azim è una attrice dotata, ma qui non funziona: è, come donna, troppo «moderna». Pur negli abiti stretti e lunghi della fine secolo, e pur alle prese col «voi» della versione di Sandro Bajini e Roberto Rebora, Vecchiali lascia che si muova e si atteggi come capita, senza preoccuparsi di ricordarci che le civetterie, le strategie, gli espedienti di Clotilde avvengono all'interno di un codice sociale soffocante. Adeguati ma insufficienti a riequilibrare le cose Antonio Ballerio e Roberto Alpi, rispettivamente marito e amante; accettabile la cameriera di Rita Falcone, solo discreto il giovane Roberto Trifirò. Masolino d'Amico Raffaella Azim è Clotilde nella «Parigina» e in «Vedova!» di Henri Becque Una donna amorale, almeno secondo le convenzioni ottocentesche
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