IL NUOVO DILEMMA TEDESCO di Enzo Bettiza

IL NUOVO DILEMMA TEDESCO IL NUOVO DILEMMA TEDESCO Lj ASPETTO più paradossale nel progressivo svuotamento dei sistemi totalitari dell'Est europeo è quello che vede quei partiti comunisti diventare ogni giorno di più nemici involontari di se stessi e del potere che dovrebbero rappresentare. Il fenomeno mostra due facce. Una interna a ogni singolo Paese; l'altra esterna è collegata al dissesto globale dell'impero sovietico sul continente. In Polonia e in Ungheria il comunismo e i partiti che lo incarnavano, ormai agonizzanti, erano diventati un elemento, anziché d'ordine, di permanente instabilità: essi continuavano a produrre nient'altro che pauperismo e contestazione a Varsavia, e frustrazione riformistica e spirito di ribellione a Budapest. L'Unione Sovietica, anziché protetta sul fianco strategico occidentale da una cintura di alleati solidi e rassicuranti, si vedeva sempre più assediata da un coacervo di satelliti ingovernabili, riottosi, destabilizzati e destabilizzanti. Ma è nella Germania orientale che la situazione si è fatta all'improvviso, negli ultimi mesi, particolarmente aggrovigliata nelle sue infinite contraddizioni interne ed esterne. Né la Germania occidentale in senso interregionale, né l'Europa comunitaria in senso continentale, né l'Unione Sovietica in sertso imperiale, sanno più che linea adottare nei confronti dello sfascio fisiologico che a quarantanni dalla fondazione sta minando l'esistenza dello Stato ortopedico della Germania comunista. E' sul territorio popolato da diciassette milioni di tedeschi insoddisfatti, amministrato con staliniana implacabilità da questo staterello artificiale, che i nodi, venuti al pettine ovunque, appaiono più duri da sciogliere che altrove. E' qui che la generale politica riformistica di Gorbaciov mostra di più la corda. E' qui che tale politica, basata su una simultanea e intrecciata necessità di cambiamento e di stabilità, s'incrina, rischiando d'innescare un cortocircuito negativo sia per l'impero sovietico che per l'Europa nel suo insieme. Fino a ieri il nucleo più forte e più funzionante dell'impero, il suo avamposto ideologico e strategico sul continente, era la Repubblica democratica tedesca dell'Est. Per Stalin che l'aveva inventata sulle macerie del Reich smembrato, per Krusciov che l'aveva protetta e riconsolidata col muro di Berlino, per Breznev che le aveva conferito un posto d'onore nell'organizzazione militare del Patto di Varsavia, la Ddr rappresentava lo Stato satellite più serio e più affidabile. Non a caso le sanguinose epurazioni che a cavallo degli Anni Quaranta-Cinquanta decimarono le dirigenze comuniste cecoslovacche, ungheresi, romene, bulgare, avevano lasciato pressoché indenne il gruppo dei padri fondatori della Germania comunista trasferiti direttamente, subito dopo la guerra, dall'Hotel Lux di Mosca fra i ruderi guglielmini di Pankow. L'ultimo, autentico, alla sua maniera patetico e ormai vacillante erede di Stalin in tutto il mondo comunista, è oggi Honecker. Gorbaciov, a torto o a ragione, non si considera erede di Stalin. Il mutamento del comunismo, la trasformazione dei partiti comunisti, è ormai questione di vita o di morte nella sua nuova e realistica ottica europea. Secondo Gorbaciov, la stabilità dell'Urss potrà essere riassicurata e garantita solo da una profonda metamorfosi dei sistemi comunisti limitrofi, ormai diventati vampiri di se stessi e del Enzo Bettiza CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA

Persone citate: Breznev, Gorbaciov, Honecker, Krusciov, Stalin