Crack Sindona nessuno pagherà di Susanna Marzolla

Crack Sindone, nessuno pagherà La Banca Privata in liquidazione 15 anni fa, ma le condanne non sono mai diventate definitive Crack Sindone, nessuno pagherà In prescrizione il reato di bancarotta MILANO. Colpo di spugna sulla bancarotta della «Banca Privata Italiana», l'istituto di credito di Michele Sindona fallito nel 1974 con un «buco» di 258 miliardi (valore attuale oltre duemila miliardi di lire). Morto il principale responsabile, per tutti i suoi complici è arrivata la prescrizione: non solo nessuno andrà in carcere, ma nessuno si ritroverà «responsabile» della bancarotta. In realtà i termini per la prescrizione scattano tra due giorni, il 14 ottobre: saranno passati esattamente quindici anni dal 14 ottobre del 1974, giorno in cui la Banca Privata venne posta in liquidazione coatta amministrativa. E quindici anni, tenuto conto delle attenuanti generiche concesse a tutti gli imputati, sono appunto il termine massimo entro cui l'eventuale condanna per bancarotta fraudolenta doveva diventare definitiva. Così non è stato: la Cassazione aveva inizialmente fissato al 21 ottobre (cioè una settimana oltre il termine) l'udienza per l'esame dei ricorsi contro la sentenza d'appello; adesso quell'udienza è stata rinviata «a data da destinarsi». «Quello contro gli amministratori della Banca Privata — dice l'avvocato Giuseppe Melzi, legale dei piccoli azionisti, rovinati a centinaia dal crack di Sindona — è stato il primo grande processo contro la criminalità economica: avrebbe potuto avere un significato sto- rico, non solo e non tanto in termini di punizione dei responsabili, quanto come segnale per cercare di arginare un fenomeno che continua a ripetersi, dall'Ambrosiano ai titoli atipici fino al caso della Banca Nazionale del Lavoro. Queste lungaggini processuali, finite con la prescrizione, legittimano invece l'impunità». Il crack della Banca Privata Italiana, sorta dalla fusione tra la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria, non aveva solo fatto scoprire la carenza dei controlli economici, aveva anche aperto uno squarcio su quei rapporti tra una certa criminalità economica ed ambienti po¬ litici e istituzionali. Quando Michele Sindona, colpito da mandato di cattura per bancarotta fraudolenta, viveva da latitante dorato all'hotel Pierre di New York, in Italia influenti personaggi lo descrivevano come un «perseguitato politico». Erano tutti personaggi, si scoprì poi, legati alla P2. E non a caso proprio indagando su Sindona i magistrati arrivarono all'archivio di Licio Gelli. Il processo di primo grado per la bancarotta si celebrò dieci anni dopo il crack, nel 1984. Sindona non c'era, non era neppure all'hotel Pierre bensì in un carcere: la giustizia Usa lo aveva condannato a 25 anni per il fallimento della Franklin National Bank. Proprio il suo ex braccio destro, diventato il suo principale accusatore per lo scandalo della Franklin, Carlo Bordoni, aveva ricevuto la condanna più alta per la bancarotta italiana: 12 anni di carcere. Otto anni erano stati inflitti al genero di Sindona, Pier Sandro Magnoni e al direttore della Banca Privata, Gian Luigi Clerici. Per Luigi Mennini e Massimo Spada rispettivamente sette e cinque anni: nella banca sindoniana erano i rappresentanti dello Ior-Istituto Opere di Religione, lo stesso che si ritroverà nello scandalo dell'Ambrosiano. In tutto al processo ci furo- no 23 condanne con pene variabili tra gli otto e i due anni. Tra il primo grado e l'appello sono passati cinque anni. Il processo è stato celebrato nel marzo di quest'anno e a tutti gli imputati le pene sono state praticamente dimezzate: non solo, è stato applicato il condono che ha praticamente abbuonato le condanne. Il solo Bordoni avrebbe potuto, teoricamente, finire in carcere: ma vive negli Usa, protetto dall'Fbi, e comunque anche lui beneficerà della prescrizione. Michele Sindona condannato a quindici anni per la bancarotta e poi all'ergastolo per l'assassinio di Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della Banca Privata Italiana, è morto in carcere nel marzo dell'86, avvelenato dal cianuro: un suicidio che il bancarottiere voleva far passare per omicidio, ha stabilito l'inchiesta. Ambrosoli, il liquidatore della Banca Privata, che cercò di far luce sul crack rifiutando i «salvataggi» della banca sponsorizzati da influenti politici, sapeva di rischiare la vita «ma per me — scriveva alla moglie — è un'occasione unica per fare qualcosa per il mio Paese». Un simile finale, nel suo Paese, Ambrosoli forse non poteva aspettarselo. Susanna Marzolla Michele Sindona fu trovato morto in carcere nel marzo '86

Luoghi citati: Italia, Milano, New York, Usa