IL MACHIAVELLI CINESE

IL MACHIAVELLI CINESE IL MACHIAVELLI CINESE «Il libro del signore di Shang», un classico della politica, 2000 anni fa Una cruda apologia del potere. Ma oggi ci appare persino garantista *V"EL IV secolo a.C, un jn I «paese insignificante [in I e arretrato» agli I |Bt I estremi confini della I Wtt I Cina raggiunge in poB&l chi decenni le dimenaci sioni di una potenza Bm irresistibile, in grado 1 Wm di fagocitare agguern . riti organismi feudali, di porre fine a una dinastia (la dinastia Chou), di liquidare pensiero e istituzioni che avevano sorretto antiche civiltà, e di inaugurare un nuovo corso ispirato a demiurgica crudezza politica. Si tratta dello Stato di Ch'in la cui fulminea ascesa ha spesso destato la meraviglia degli storici e ha fatto esclamare ad uno di essi: «Si direbbe che abbia avuto l'aiuto del cielo»; mentre è da attribuire a Shang Yang, alto dignitario di corte, la stesura o almeno il sigillo di un trattato che codifica tutte le arti del «buongoverno» quali potevano essere, intese dalla Scuola Legista, ossia da una scuola di rigido impianto giuridico-amministrativo in aperto dissidio con la tradizione confuciana e taoista. E' appunto II libro del Signore di Shang, per la prima volta in veste occidentale, tradotto da Alessandro Passi per le edizioni Adelphi, accompagnato da un dovizioso saggio di J.J.L. Duyvendak, l'insigne sinologo dell'Università di Leida scomparso nel 1954, che ne analizza in modo approfondito struttura e avventura testuale nel corso di due millenni. Un classico, a suo modo. Aborrito nella stessa Cina, considerato una sintesi di rozzezze dottrinarie e quasi un'infamia da espiare in famiglia («parlare di Shang Yang insozza la bocca e la lingua» scriveva un lontano poeta), appena di recente gode di più meditate valutazioni critiche. Qualcuno si spinge ad assimilarlo a un Licurgo, a un Solone, così come nel gioco delle analogie a noi prossime vengono sinergicamente impiegati Machiavelli, Hobbes e più moderni epigoni. O contadini o guerrieri Agricoltura e guerra sembrano essere le uniche attività degne di rispetto nella concezione statolatrica di Shang. O contadini o guerrieri, e ancor meglio: contadini-guerrieri, con l'ossessivo miraggio delle terre da coltivare e dei nemici da schiacciare. Nella lunga lista compaiono ad esempio i mercanti, i contafavole, i funzionari che eccedono nel cibo, gli uomini «virtuosi», i parassiti del sentimento, della preghiera, della letteratu- ra, della Natura. E poiché le seduzioni, magari oblique, sono ahimè possibili presso le genti rurali, ecco uno dei precetti da recitare in pubblico a ogni quarto di luna: «Se vesti pregiate e musica non penetrano nei nostri villaggi, il popolo non presterà attenzione a quelle, né accetterà questa durante il riposo. Se durante il riposo non ascolterà musica, il suo spirito non sarà rilassato, e se durante il lavoro non presterà attenzione alle vesti pregiate, la sua mente sarà concentrata. Se la sua mente sarà concentrata e il suo spirito non sarà rilassato, è certo che le terre incolte saranno portate a coltivazione». Nel medesimo spurgo ideologico finiscono i locandieri, talché «se le locande per accogliere i visitatori saranno abolite, i cospiratori e coloro che turbano le menti dei contadini non viaggeranno, e di conseguenza i locandieri non avranno di che vivere. In tal caso, diventeranno sicuramente contadini e le terre incolte saranno portate a coltivazione». Stiano ben all'erta ministri, principi di sangue e illustri consiglieri. Se hanno la debolezza di abbandonarsi a speculazioni filosofiche, a galanti convegni, a fantasiosi cerimoniali, non beneficeranno del minimo sconto nell'applicazione delle pene dal momento che la legge, oltre a colpire chicchessia senza distinzione di rango, non prevede deroghe e attenuanti in nome dei meriti acquisiti. E allora, quali che siano le referenze del malcapitato, chi sbaglia subisce ciò che contempla il Moloch giallo: dal taglio del naso allo smembramento del corpo, alla lenta bollitura in una caldaia. Si ribadisce per i nostalgici, per i ribelli potenziali: «In un paese prospero il popolo non può che trarre vantaggio dalla severa applicazione delle pene». Dunque ciascuno si adopererà perché il reo non resti impunito; compito del resto abbastanza agevole grazie alla rete di spionaggio promossa dall'accorto sovrano. La legge contro la morale Distrutta ogni immagine di vita patriarcale, affossato l'amor di sé, sintonizzata la sessualità sulla pienezza del granaio, eliminati gli avversari con l'inganno e con venefiche trovate, cura prioritaria del governo di Ch'in è quella di suddividere le varie comunità in gruppi di cinque-dieci individui «responsabili l'uno dell'altro e delegati a denunciare l'uno i reati dell'altro». Non il pentito, ma soltanto colui che riesca ad avvertire tempestivamente i superiori della trasgressione di un compagno, contribuendo a fugare un pericolo di ordine sociale, potrà ottenere clemenza. «La frattura tra legge ed etica — osserva Duyvendak — è qui assoluta. Eppure, anche nella sua durezza, è pur sempre legge. Esattamente definita, egualitaria» e, si capisce, improntata alla tetra illusione che il destino umano sia regolabile come una bilancia. Rapida la fortuna e altrettanto immediato il ripudio di un'opera (sì, interpolata, composita: non però un fake, ossia un falso grossolano, ci ricorda il traduttore Alessandro Passi), che non giudicherei tuttavia un vertice irraggiungibile nelle nefandezze del potere. Eventi di fresca memoria in questa o in quella regione del pianeta, con o senza il soccorso della moviola, rischiano di farci apparire addirittura garantista il Signore di Shang. Giuseppe Cassieri Il libro del Signore di Shang a cura di J.J.L. Duyvendak Adelphi pp. 228, L. 24.000

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