Altissimo: elezioni senza le preferenze di Alberto Rapisarda

Altissimo: elezioni senza le preferenze La ricetta del pli contro lo sbarramento di Craxi Altissimo: elezioni senza le preferenze ROMA. Craxi ha rilanciato l'idea di tener fuori i piccoli partiti dal Parlamento, la sinistra de è disposta a discuterne, Giulio Andreotti frena tutti temendo che gli esploda il governo sotto la poltrona di presidente del Consiglio. Perché ben tre delle vittime predestinate alla cacciata dall'Eden parlamentare sono al governo: liberali, repubblicani, socialdemocratici. Ritorna l'idea di impedire l'ingresso in Parlamento ai partiti che prendono meno del 5 per cento dei voti. I liberali che faranno? Noi diciamo no. Non è certo questa la strada per risolvere i mali del nostro sistema — risponde il segretario Altissimo —. Non sono i partiti minori a rendere instabili i governi dai comuni in su. E' la de che ha bloccato tutto dal 1987 in poi con la grande guerra per la segreteria. Ma per le comunali di Roma concorreranno 23 liste. Non le sembrano troppe? Sono troppe. Si potrebbe fissare un certo numero di firme da raccogliere per le liste o i partiti che non hanno rappresentanza in Parlamento. Potrebbe sembrare una soluzione corporativa, fatta da chi è dentro per tener fuori gli altri. In effetti, è un po' corporativa. La via seria è quella della riforma elettorale che abolisca le preferenze. Oggi sono i detentori dei pacchetti di voti che pre- valgono e fanno degenerare la vita politica. La selezione dei candidati è alla rovescia. Si mettono in lista i buoni per dare copertura a quelli che dovranno essere eletti. Ormai non sembra che il problema riguardi solo le regole elettorali. C'è anche il Disogno di riformare i partiti. Bisogna anche rendere più trasparenti i bilanci dei partiti, che oggi non lo sono, perché è tutta una finzione. Vuol dire che i partiti ingannano i contribuenti che li finanziano di tasca loro? Dico che anche il finanziamento pubblico è una finzione, perché bloccato al livello del 1980. Noi liberali dobbiamo fare debiti con garanzia sui nostri immobili, gli altri debbono arrangiarsi. E si sa come. Lei sta chiedendo un aumento del finanziamento pubblico? E' opinione corrente che l'obbiettivo iniziale di disinvogliare i partiti dal far soldi illegalmente sia fallito. Bisogna uscire da questa ipocrisia del finanziamento. O si adegua o si abolisce. Non sembra il momento propizio per un aumento. Quel che dà fastidio all'opinione pubblica è la degenerazione del sistema. E il nodo tra politica e degenerazione sta nel meccanismo di potere che si radica nei comuni e sale su per province, regioni e governo. La politi¬ ca deve uscire dall'economia, dagli affari, dalle Usi, dalle partecipazioni statali, dalle municipalizzate. La riforma elettorale, la riforma dei partiti le debbono decidere gli stessi partiti. Crede veramente che realizzerete questa operazione di auto-risanamento? Noi liberali queste cose le diciamo da tempo. Certo, non sono né de, né pei, né psi che possono trovare la soluzione, dopo aver vissuto per tanti anni bene in questa situazione. Non c'è speranza? Se gli elettori rafforzassero liberali e repubblicani sarebbe un segnale che i «grandi» dovrebbero capire. Cosa ne pensa dell'attacco di Andreotti alle grandi concentrazioni industriali e della informazione? E' patetica l'accusa ad Andreotti di essere anticapitalista. Sono certo pericolose le concentrazioni che si autoalimentano sommando finanza, informazione, e alterando il gioco democratico. Se non ci sono regole non è perché i governi sinora non le hanno volute? E' vero. Abbiamo uno Stato che stabilisce a che ora bisogna accendere i termosifoni ma non si è occupato del passaggio di proprietà della Montedison, per dirne una. Alberto Rapisarda

Persone citate: Andreotti, Craxi, Giulio Andreotti

Luoghi citati: Roma