Strehler: «Non distruggete il teatro italiano»

Strehler : «Non distruggete il teatro italiano» Il grande regista discute i progetti di legge e denuncia errori, rischi, «influenze della politica» Strehler : «Non distruggete il teatro italiano» La qualità artistica unico metro per ottenere aiuti pubblici PUÒ' sembrare paradossale che la presentazione di un disegno normativo sul teatro sia preceduta da lun interrogativo sulla legittimità stessa, in questo momento, di una tale iniziativa. Non esistono forse nella nostra società situazioni più angosciose, più urgenti alle quali rivolgere le nostre forze e le nostre preoccupazioni? Certo esse esistono. Ma io sono convinto che uno dei pochi modi per opporsi a una crescente barbarie che è tra noi consista nel considerare la cultura come la nostra più attiva e folgorante forza dell'essere e dell'agire»: con queste parole inizia la relazione sulle «Nuove Norme in materia di Teatri di Prosa» che ho presentato in febbraio al Senato. Allontanarmi dalla preparazione del Faust di Goethe e cercare di capire la prosa, abbastanza confusa, del nuovo disegno di legge ministeriale per il Teatro, presentato or non è molto da Franco Carraro, è cosa assai dura. Ma anche il Faust, come tante altre avventure grandi del Teatro, non si può compiere in un tessuto teatrale malsano, in una situazione di smarrimento e di precarietà. L'anno scorso le posizioni difese dal ministro Carraro furono seguite dalla sollevazione del Teatro italiano e del mondo della cultura. Il progetto di legge oggi è molto diverso. E le sue dichiarazioni sono quasi tutte di segno contrario a quelle passate. Certo tra il passato e il presente, in un solo anno, si sono verificate situazioni che non potevano non determinare una revisione di posizioni risultate palesemente errate: quelle, per esempio, riguardanti i tagli della Spesa Pubblica per il Teatro di Prosa, o le famigerate provvidenze di detassazione a favore dell'industria televisiva privata, che il ministro allora difese con grande impegno e che alla fine furono clamorosamente rifiutate dalla Camera. Certo l'Italia non è il secondo Paese d'Europa riguardo l'interesse pubblico per la cultura, come il ministro ha voluto affermare all'inizio dell'estate. L'Italia si trova, al contrario, in una posizione depressa, vittima di una tristemente nota indifferenza del Potere per tutto ciò che attiene le Arti, i Beni Culturali, l'Ambiente e la Scienza, in preda alle influenze palesi e occulte della politica e della sua quasi generale ignoranza. E' in questo contesto che il disegno di legge Carraro è stato approvato con un'insolita celerità dal Consiglio dei ministri. Ovviamente esso sarà discusso dalle Camere di concerto con la nostra proposta, la Legge StrehlerBordon, che lo precede di molti mesi. L'esito non è scontato. Perché esistono, oggi, forze nel Parlaménto, donne e uomini di tutti i partiti, persone oneste e attente, che non sono disposte ad accettare a occhi chiusi le decisioni prese ai vertici dei partiti, né a negare la serietà e la correttezza di un altro progetto di legge al quale il ministro ha affer¬ mato di essersi più volte riferito. L'ha detto, ma non l'ha fatto o l'ha fatto a modo suo. Forse l'atteggiamento ministeriale più sconvolgente è il fatto che tenti un'operazione di trasformismo, avvalendosi spesso di concetti espressi nel nostro dispositivo, ma mutandoli in segni di valore opposto con un evidente indirizzo centralizzatore. Non è facile leggere in trasparenza il dettato per scoprire la pericolosità della legge ministeriale. Sono convinto che nonostante alcune disposizioni positive — la riforma dell'Ente teatrale italiano, a esempio, il potenziamento dell'Accademia nazionale d'arte drammatica (ma di tutte le «altre» scuole di Teatro degne di questo nome che in Italia esistono, alcune di valore, cosa succede?) — qualora venisse legittimato nel suo insieme questo progetto, non farebbe che aumentare la confusione, l'ingiustizia, la disparità e la provvisorietà del Teatro italiano e esaltare la sua miseria. Basterebbe sottolineare l'articolo 10, per capire tutta l'improvvida filosofia che sottintende il dispositivo previsto. Esso si riferisce ai «Teatri di arte drammatica» che il ministro dichiara di voler definire con un decreto legge. L'articolo dice: «In presenza di risultati particolarmente qualificati, conseguiti nel triennio precedente, può essere riconosciuto un Teatro d'arte drammatica per ogni regione, sola o consociata con altre regioni, riferendosi alla necessaria potenzialità di utenza, fatti salvi gli Entio Associazioni Stabili di iniziativa pubblica già riconosciuti come tali dal decreto del 31 dicembre 1988». La sottolineatura è mia, a evidenziare che il dettato intenderebbe riconoscere', con altro nome, tutti i Teatri Stabili già esistenti, nati in condizioni diverse, in tempi diversi e con risultati spesso ottimi, molto spesso discutibili o nulli. Ma cosa si vuol contrabbandare con una terminologia così vaga e equivoca quale la «necessaria potenzialità d'utenza» che consente tutto e il contrario di tutto? E chi poi dovrebbe definirla? Secondo quali criteri? Una sola cosa è certa: sarà il ministro a decidere. Ma non basta. Questi «Teatri d'arte drammatica» già riconosciuti, che sostituirebbero nominalmente gli attuali Teatri Stabili, sono attualmente 18. Noi, nel nostro disegno, prevediamo di ridurli a 12, tra il Nord, il Centro e il Sud. Con l'approvazione del progetto ministeriale è del tutto probabile che si finirà per avere altri 20 Teatri d'arte drammatica, poiché tante sono le regioni italiane che hanno il «diritto» di crearsene uno. Alla fine, lo Stato si troverà a sovvenzionare circa 38 Teatri Pubblici. Più avanti, si afferma che i Teatri d'arte drammatica possono avere una forma giuridica uguale a quella degli Stabili attuali, o una forma societaria o ancora una forma cooperativa, ma che tutti devono — ope legis — adottare uno statuto unificato, deciso anche questo, owia- mente, dal ministro e avere un Consiglio d'amministrazione composto da 5 membri (ma perché proprio 5 e non 7?) di «comprovata esperienza nell'organizzazione dello Spettacolo e della Cultura». Uno di questi membri sarà nominato, ed è giusto, dal ministro. Gli altri sono di competenza degli Enti locali. Ma secondo quale logica, se non partitiche, politiche, della spartizione del potere , cui un organismo pubblico pare non possa sfuggire? A questo si devono trovare limita¬ zioni severe e oggettive. Noi abbiamo cercato di farlo. C'è poi un bizantino, davvero incomprensibile, comma riguardante il finanziamento dello Stato ai Teatri d'arte drammatica che non potrebbe essere superiore «al costo degli spettacoli e altre attività previste dallo statuto al netto delle entrate per incassi degli spettacoli». Se il finanziamento viene calcolato su questo oscuro, labile rapporto tra costi e spettacoli, dove si troveranno i soldi necessari per svolgere quelle altre attività previste dal¬ lo statuto: creazione di un Centro di perfezionamento professionale (e cos'è?), attività di ricerca e sperimentazione e via dicendo, che non sottintendono un'attività di «spettacolo» né di costi e ricavi? Un'altra chiave per capire la manovra opportunistica del progetto Carraro è l'articolo 4, che pare riferirsi al concetto di «alta autorità per il Teatro di prosa», garante nel nostro disegno e che mostra cosa si vuole mettere in atto per distruggere ogni reale possibilità di controllo sull'ope¬ rato del ministro. Noi prevediamo un'«alta autorità» nominata dal Presidente della Repubblica su indicazione dei presidenti del Senato e della Camera, composta di 3 membri «scelti tra personalità di assoluta rilevanza culturale e artistica nazionale e internazionale». Non c'è dubbio che si tratta di una scelta difficile, perché richiede una presenza di valori indiscutibili. Nel progetto ministeriale, questa «alta autorità» è diventata una «Commissione nazionale del Teatro di prosa». Nominata dal ministro e composta da lui, dal direttore generale del Teatro e da 3 esperti scelti «tra personalità della cultura e dello spettacolo con comprovata esperienza nel settore del Teatro». Vale a dire — faccio dei nomi a caso — uomini come Moravia, Sciascia, La Valle, Bo, Bobbio, Paolo Barile, Macchia ecc., non potrebbero essere tra questi, perché non hanno una «comprovata esperienza nel settore del Teatro». Io trovo che tutto ciò sarebbe risibile se non fosse tragico. Già a questo punto si può notare come nonostante trucchi semantici, confusioni sintattiche, furbizia nella scelta delle terminologie, il tono e il livello del progetto siano palesi. Per concludere voglio richiamare alcuni criteri fondamentali della nostra normativa per il Teatro di prosa: 1) Limitazione del Teatro pubblico con la creazione di un ristretto numero di Centri drammatici nazionali lungo tutto il territorio nazionale. 2) Definizione dei bacini di utenza secondo un numero minimo di potenziali spettatori (due milioni di abitanti come minimo), che permettano l'attività di un vero e sano organismo teatrale, sovvenzionato da Stato e enti locali. 3) Garanzia di una sovvenzione adeguata ai severi compiti di ogni Centro, assegnata per trienni di attività. 4) Costituzione di questi Centri nella forma di Società per azioni di cui il 50% di proprietà dello Stato e il 50% di proprietà degli enti locali. Quindi deciso intervento per la limitazione della politica, quella che noi tutti teatranti del settore pubblico e non pubblico sentiamo stringerci quotidianamente alle spalle in forme molto spesso degenerate di spartizione di potere. 5) Definizione della qualità artistica come unico metro per ottenere il sostegno pubblico. 6) Preoccupazione per la nascita, a duecento anni da quella del Teatro nazionale austriaco (il Burgtheater di Vienna) e a quattrocento da quello francese (la Comédie Francaise a Parigi) di un Teatro nazionale italiano che è stato il sogno, mai realizzato, di intere generazioni di uomini del Teatro italiano, di fronte all'Europa e al mondo. Di tutto questo, niente appare nel progetto Carraro. Ma a proposito dell'Europa, credo che esso raggiunga un aspetto grottesco. Non si tratta qui di tutelare a parole un orga¬ nismo teatrale italiano, in virtù di tutto ciò che esso ha fatto a favore di un'Europa del Teatro. Noi abbiamo incominciato a girare sistematicamente il nostro . Continente quando di Europa ancora non si parlava, fin dal lungo viaggio compiuto nel 1948 in Cecoslovacchia, Polonia, Russia. Per 43 anni un Teatro ha rappresentato, quasi da solo in Europa, l'Italia teatrale, intesa come lavoro organico e non solo come «spettacolo»; ha intessuto legami indissolubili con il Teatro drammatico di Paesi vicini e lontani, ha fatto nascere alcuni dei più prestigiosi registi europei nella sua casa. Senza imbarazzo parlo del Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa, di cui attualmente condivido i destini. Di fronte a tutto ciò, di fronte a quello che la Francia ha compiuto e compie oggi per l'Europa, di fronte all'attuale sviluppo del «Théàtre de l'Europe» di Parigi da me fondato; di fronte alla creazione di una «Unione dei Teatri dell'Europa» tutta proiettata nel futuro e della quale per volontà di Francois Mitterrand e di Jack Lang, ministro della Cultura, sono stato invitato a essere il presidente, il ministro Carraro afferma che in Italia, entro il 1991, la Commissione nazionale per il Teatro si guarderà in giro «per individuare i criteri per il riconoscimento di un Teatro d'Europa da scegliersi nell'ambito dei Teatri d'Arte Drammatica». Ebbene, considero tutto ciò indecoroso e offensivo, non per me, né per il Piccolo, ma per il Teatro italiano, per la sua storia e per la sua immagine. Come trovo inaccettabili le dichiarazioni del ministro là dove ha avuto modo di dire che non si fa una legge per un «singolo soggetto», probabilmente riferendosi al sottoscritto. Sarebbe meglio, allora, che egli si ricordasse di tutti i progetti di legge precedenti al suo, in questi anni; anche di quelli, secondo me peggiori, che riconoscevano al Piccolo Teatro la sua realtà europea. Ho avuto l'occasione di suggerire a Carraro una maggiore cautela. Adesso gli suggerisco di essere un poco più umile e più attento. Attento sul serio alle idee altrui, anche di coloro che sovrintendono ai servizi ministeriali e che sono, secondo me, forse più addentro alle cose di lui, che hanno meno «umori» di lui. Potrebbero aiutarlo a sbagliare meno. Provo molta tristezza nello scoprire il ministro dello Spettacolo italiano così disarmato, di fronte a un mondo che gli sfugge e che forse non ama abbastanza. Si dice, talvolta: meglio una legge magari sbagliata che andare avanti senza legge. E' un pensiero errato. Per me niente è peggio che leggi cattive. Ne abbiamo già troppe. E sono esse che, insieme con la licenza, l'arroganza e la cupidità, stanno distruggendo il nostro Paese. Giorgio Strehler Giorgio Strehler in «Faust» di Goethe, da lui tradotto e interpretato (Foto L. Ciminaghi)