Attenti al pentitismo destabilizzante di Michele Pantaleone

Attenti al pentitismo destabilizzante Tra gente disposta a confessare e a ritrattare, è sempre più diffìcile la lotta alla mafia Attenti al pentitismo destabilizzante // «caso Palermo» mette in crisi la giustizia Gli aspetti sconcertanti dell'ultimo «caso Palermo» — portato anche questo avanti il Consiglio superiore della magistratura — hanno distratto l'attenzione dell'opinione pubblica dai numerosi retroscena esistenti sia alle spalle dei «corvi» annidati nel «Palazzaccio» che per i «casi» creati dai pentiti, alcuni dei quali ripentiti per essere stati pentiti (mentre altri diventano protagonisti di pentimento alla rovescia e accusano autorevoli funzionari dello Stato con il premeditato fine di creare un clima di intimidazioni per fermare iniziative antimafia e depistare indagini), i cui risultati turbano equilibri di potere di stampo mafioso faticosamente raggiunti anche in sede politica, sotto gli occhi del potere giudiziario. Recentemente, mentre erano in corso le indagini e gli accertamenti per le accuse mosse ad alcuni magistrati da un «corvo» annidato nel «Palazzo dei veleni» di Palermo, un pentito della ndrangheta, tal Salvatore Marasco, ha accusato l'alto commissario per la lotta alla mafia, Domenico Sica, e due autorevoli magistrati calabresi, di averlo lautamente pagato per fargli firmare alcune «dichiarazioni di comodo». A sua volta, Salvatore Contorno, alias Coriolano della Foresta, nomignolo spesso usato da giornalisti per esaltare qua¬ lità e capacità del «picciotto d'onore», ha dichiarato che «questa volta dirò tutto», insinuando che ha «ancora molto da dire», senza precisare se quel «tutto» riguarda i nomi dei politici suoi ex amici che non ha fatto anni fa durante gli interrogatori, ovvero quelli di coloro che gli hanno promesso il sole nel pozzo per sue «dichiarazioni di comodo» e ora lo lasciano «marcire» in una cella del carcere di Sollicciano, guardato a vista notte e giorno con dispositivo teleaudiovisivo. Il pentitismo, se usato con il dovuto rigore deontologico, può offrire ampi spazi per interventi giudiziari e scoprire connivenze, collusioni e complicità di vario genere, e a diversi livelli; può essere l'arma efficace per tagliare i nodi e i legami tra la mafia e i pubblici poteri, tra i boss della mafia e i politici-boss, legami che in ogni tempo hanno costituito il fertile terreno nel quale la mala pianta della mafia ha affondato le sue radici. La paura dei pentiti ha già dato i suoi frutti: in alcuni ambienti, uomini politici «parlati», burocrati e bancari hanno interrotto i loro rapporti e i loro legami con individui ritenuti mafiosi. Usati strumentalmente, invece, sia i pentiti che i «corvi» sono nefasti, sono addirittura destabilizzanti, non tanto né solo per il danno morale, mate¬ riale e professionale che riescono ad arrecare ad alcuni malcapitati oggetto delle loro attenzioni, quanto per la sfiducia che hanno ingenerato nei poteri dello Stato. • Di ciò si sono rese conto le autorità francesi, le quali hanno respinto alcune nostre ri- chieste di estradizione con la motivazione che «non è possibile fidarsi delle delazioni a pagamento sotto forma di riduzione di pena»; di ciò si sono resi conto politici e giudici in America, ove sono state abrogate le cosiddette leggi premiali, perché rivelatesi a doppio taglio. Nel nostro Paese, si sa, vivia¬ mo in un momento difficile, in quanto a rispetto delle leggi, e spesso la Giustizia e gli altri poteri dello Stato sono vittime della strumentalizzazione del potere politico per faide tra partiti o, peggio, fra correnti di partito. In questi ultimi anni in Sicilia i «corvi» sono diventati un'abitudine. Hanno violato segreti istruttori, dato in pasto all'opinione pubblica notizie i cui effetti sono stati devastanti e a volte hanno fermato piani e programmi d'indagine con «i cadaveri eccellenti» di alcuni inquirenti, giudici e tutori dell'ordine. Cosa avverrà — o sta per avvenire — se «corvi» e pentiti saranno gestiti dalla mafia contro i poteri dello Stato o da partiti contro altri partiti? Il sottosegretario al ministero della Giustizia, senatore Silvio Coco, ha esplicitamente detto che «alcuni gruppi politici, in particolar modo comunisti, hanno ritenuto di sponsorizzare la linea antimafia di alcuni magistrati per trarne vantaggi indebiti. «Alcuni magistrati che combattono contro la mafia — ha detto il sottosegretario al ministero della Giustizia, anche lui magistrato — hanno ritenuto di poter trovare la tutela di partiti come il pei che si accredita come la forza politica che lotta contro la mafia». Quali conseguenze disastrose sulla giustizia ha la sponsorizzazione della linea antimafia di alcuni partiti, e segnatamente la de e il pei, che in Sicilia vantano ' un notevole numero di parlamentari-magistrati? Si sono mai chiesti i magistrati-parlamentari e membri laici del Consiglio superiore della magistratura come e dove sono andate a finire alcune indagini contro amministratori della cosa pubblica de e pei, rei di reati di tipico stampo mafioso, malgrado le ripetute denunzie ai procuratori della Repubblica, ribadite sulla stampa, e malgrado le interrogazioni parlamentari presentate. all'assemblea regionale e nei due rami del Parlamento nazionale? Quante sentenze sono autentiche forzature della Giustizia, pronunziate per favorire compagni ed amici? E' in questi ambienti e in questo clima politico che spuntano «corvi» e pentiti ad ogni pie sospinto nel «Palazzo dei veleni», nelle sedi dei tutori dell'ordine, in quelle del potere politico. Ed è in questa sede che le alte autorità dello Stato dovranno rivolgere maggiori attenzioni, superando silenzi e solidarietà corporativistiche, che hanno tutto il sapore della solidarietà di tipica marca siciliana. Michele Pantaleone Con l'omertà e la confusione non è possibile spezzare la catena degli interessi gestiti dalla malavita siciliana Salvatore Di Marco, uno dei pentiti isolati al maxiprocesso

Persone citate: Domenico Sica, Salvatore Contorno, Salvatore Di Marco, Salvatore Marasco, Silvio Coco

Luoghi citati: America, Palermo, Sicilia