Dalla fortuna alla povertà di Aldo Cazzullo

Dalla fortuna alla povertà Dalla fortuna alla povertà In passato alcuni vincitori rovinati dall'assalto di fisco e parenti Il parrucchiere di Cadorago, provincia di Como, festeggiato dalla banda del paese. Il minatore sardo ripreso davanti a una montagna di biglietti da mille. Fotografie ingiallite, facce sorridenti e emozionate, brindisi in famiglia deatro case popolari o bar di periferia. E' l'album dei vincitori del Totocalcio, quando ancora avevano un nome e un volto. Nessuna voglia di nascondere la fortuna; e i giornali pubblicavano le loro foto in prima pagina. Poi è prevalsa la paura del fisco, che non taglieggia i premi ma potrebbe tallonare i nuovi miliardari, dei rapitori, dei parenti in caccia di prestiti. Dal '76 in poi tutti i vincitori del Toto sono rimasti anonimi. Finita l'epoca di interviste, assalti dei fotografi, curiosità della gente., quando con i soldi del concorso sembrava arrivare anche ia notorietà. ì vincitori incassavano cifre che oggi passerebbero inosservate: qualche decina, al massimo un centinaio di milioni. Ma allora sembrava «fatta per tutta la vita». Non era così. Le cronache si sono dimenticate in fretta dei «fortunati», magari per ritrovarne qualcuno più tardi; povero, malato, alle spalle una storia malinconica. Come un immigrato siciliano di 37 anni, Rosario Leonardi. Milano, 22 dicembre dell'85. L'uomo cerca di saltare su un treno in corsa; scivola, muore travolto. Voleva occupare un posto per il figlio: lui non poteva permettersi un viaggio fino a Ragusa. La moglie non ha i soldi per i funerali, chiede aiuto al sindaco. Si scopre che tre anni prima quell'uomo aveva indovinato un tredici al Totocalcio da un miliardo e mezzo, uno dei più ricchi di sempre. Rosario Leonardi aveva acquistato a Pozzallo, il suo paese, vicino a Ragusa, tre appartamenti e un negozio. Però la vita in provincia gli andava stretta. Si era trasferito nella cintura milanese, a Segrate: una villetta, uno stabilimento tipografico. Ma Rosario non era un imprenditore. Fallì, dovette vendere tutto. Cercò di rifarsi investendo gli ultimi soldi nel gioco: totonero, casinò. Non vinse più. Quel dicembre dell'85 la moglie lo aveva invitato a Ragusa per Natale. Lui aveva soldi per un solo biglietto. Il giorno della sua morte era andato alla stazione per accompagnare il figlio Salvatore. Sui giornali degli Anni Cinquanta si legge la vicenda di Annunciata, 13 anni. La mamma le aveva dato qualche lira, lei giocò la schedina. Vinse 25 milioni, i cronisti non le diedero scampo per mesi. Altre pagine raccontano di Romeo Glacin, montanaro veneto, che morì all'improvviso, prima di incassare i 245 milioni del Toto. E di Luigi Pastori, caposquadra alla Magneti Marelli, che spese i 144 milioni vinti per curare i reni malati. Ancora, storie di fortunati che moltiplicarono i premi del Totocalcio al casinò o con investimenti riusciti; di famiglie divise dall'improvvisa ricchezza; di patrimoni finiti nelle tasche degli amici o nelle casse del fisco. Andò così al primo grande vincitore della storia del Toto, Pietro Amelotti, bergamasco. Nel '48 incassò 63 milioni. Lasciò al socio la sua fabbrica di casse da morto, regalò milioni a dipendenti, amici, fondazioni. Per la moglie comprò un attico a Milano. Poi arrivò l'offensiva del fisco. L'ex fortunato dovette pagare 70 milioni tra tasse arretrate e multe. Tornò a fabbricare casse da morto. Altri non hanno neppure in<ca^sato i premi. Il 18 aprile del '76 i vincitori sono due, a ciascuno spettano 320 milioni. Uno dei tredici è stato realizzato in società da un gruppo di «amici». Due di loro fuggono, da Milano in Puglia, gli altri quattro li rintracciano. La vicenda finisce in tribunale. Intanto il giudice sequestra il montepremi; anche l'altro vincitore resta senza nulla. Aldo Cazzullo

Persone citate: Pietro Amelotti, Romeo Glacin, Rosario Leonardi