Mansell, giudìzio sospeso

Meniseli, giudìzio sospeso La Fia prende tempo, un punto a favore del pilota e della Ferrari Meniseli, giudìzio sospeso La sentenza rinviata al27 ottobre PARIGI dal nostro inviato Il tribunale della Fia ha rimandato ogni decisione sull'appello presentato, per vizio di procedura (l'impossibilità di difendersi), da Nigel Mansell contro la decisione del consiglio mondiale della Federazione automobilistica di sospenderlo per una gara dopo i fatti del Gran Premio del Portogallo. La sentenza, già scontata dal pilota della Ferrari in Spagna, non è dunque ancora definitiva. I giudici hanno ritenuto di dover attendere il risultato di un altro appello, promosso dallo stesso pilota e dalla sua scuderia, al tribunale nazionale portoghese. Quando l'esito sarà conosciuto, il tribunale Fia si riunirà nuovamente il 27 ottobre per chiudere la vicenda. In sostanza la Fia non ha avuto il coraggio di sconfessare la Fisa e soprattutto ha preso tempo prima di esporsi ad un giudizio che potrebbe anche, al limite, condizionare il risultato del campionato del mondo di Formula 1. Ovviamente se il 22 ottobre a Suzuka nel Gran Premio del Giappone la lotta per il titolo dovesse essere decisa a favore di Prost, tutto diverrebbe più facile. Nello stesso tempo il solo fatto che l'appello non sia stato subito respinto è una piccola vittoria per Mansell e la Ferrari. Il rinvio è un'ammissione implicita del fatto che non tutto è stato condotto se- condo la legge. Il comunicato sul «caso Mansell» è stato letto ieri alle 20,20 da Jacques Sarrut, direttore generale della Fia. Per tutto il pomeriggio (l'udienza era durata sino alle 13) i tre giudici delegati (il greco Manos Remvikos, presidente, Van Rosemalen, olandese, Hubert Boquis francese) avevano discusso accuse e difese. Nel documento si stigmatizza l'operato di Mansell («Che difficilmente non può non avere visto le bandiere nere»), si rimprovera e si minaccia la Ferrari a essere più attenta nella conduzione dei box e dei piloti, ma nello stesso tempo si ammette che «il procedimento merita di essere approfondito nell'interesse di una buona amministrazione della giustizia». La giornata si era aperta alle 9,15 con l'arrivo di Nigel Mansell in Place de la Concorde, dove si trova la sede della Fia. Doppiopetto gessato, loden blu, accompagnato dal suo manager Mike Francis e da un amicoconsulente, il pilota è stato fatto accomodare nella sede del tribunale, la Salle des Commissiers, al primo piano. Nell'aula si trovavano i tre giudici scelti dalla Fia (il regolamento prevede che sia proprio l'ente a convocare i rappresentanti del tribunale, un minimo di tre, in una rosa di una quindicina di membri, ma pare che sia stato Balestre in persona a pescare i nomi nel mazzo), Cesare Fiorio e Henry Peter, direttore sportivo e avvocato della Ferrari, Yvon Leon, segretario della Fisa che ha svolto il ruolo di pubblico ministero, alcuni testi, Fabrizio Serena per la Csai (la federazione italiana) e Needham, segretario del Rac, questi ultimi come interlocutori ufficiali con il tribunale per Mansell e la Scuderia di Maranello. Con una procedura insolita nel processo (a porte chiuse) sono stati sentiti per primi l'accusato, cioè Mansell, poi i testi, quindi l'accusa, lasciando all'avv. Peter le conclusioni finali. Leon si è astenuto. «Non ho visto la bandiera nera, lo giuro — ha detto Nigel —. Sono padre di famiglia, ho tre figli, non capisco perché avrei dovuto continuare a correre, prendendo dei rischi, come poi in effetti è stato, sapendo di essere squalificato. Questo dimostra la mia buona fede. Inoltre nell'isola di Man, dove risiedo, sono anche poliziotto nella riserva ed ho un mio codice d'onore». Quindi ha preso il via il dibattimento, nel corso del quale l'avv. Henry Peters, docente all'Università di Ginevra e con studio a Lugano, ha sostenuto le tesi del pilota e della Ferrari. Partendo dal presupposto che Mansell non avrebbe visto la bandiera, non ci sarebbe quindi colpa. Cioè «il fatto non sussi- ste». Inoltre è stata contestata la procedura con la quale il Consiglio Mondiale della Fia ha inflitto una gara di sospensione al pilota, usando due metri diversi per emettere la sentenza e per discutere l'appello presentato. La Ferrari ha anche fatto leggere al prof. Giacomo Modugno, docente di ottica all'Università della Sapienza di Roma e collaboratore del centro di Medicina dello sport, una relazione secondo la quale a 280 km/h (la velocità che teneva Mansell) il campo visivo si restringe enormemente. L'avv. Peters ha parlato anche di precedenti ed a questo punto ha anche preso in castagna l'accu¬ sa, portando come esempio un episodio accaduto al brasiliano Gugelmin (March) nella gara di Phoenix in giugno: gli venne esposta la bandiera nera e non si fermò. I giudici hanno risposto di non avere avuto rapporti su quel fatto e dalle tasche del I legale svizzero, alla Perry Mason, è uscita una fotocopia del resoconto ufficiale fatto dai commissari sportivi americani in quell'occasione. Ma il collegio giudicante ha fatto finta di nulla. La difesa ha anche portato agli atti un precedente di Mansell, quello riguardante una ammenda inflittagli a Detroit nel 1984 per avere provocato! un incidente al via nel quale vennero coinvolti anche Piquet e Alboreto. In quell'occasione il pilota venne proposto per la sospensione della licenza con la condizionale. Ma poi, dopo essere stato ascoltato dai giudici del tribunale d'appello, la sospensione venne annullata. Contro l'imputato si sono scagliati il direttore di corsa del Portogallo, il belga Roland Bruyseraede, il segretario Leon. Poi le controdeduzioni di Peter delle quali abbiamo detto. E dopo quattro ore di dibattito i giudici si sono ritirati per la sentenza. Cristiano Chiavegato Jean-Marie Balestre. L'uomo della prima condanna Nigel Mansell. Non ha ancora perso la sua battaglia