Il presidente Antimafia dimissionario di G. Z.
Il presidente Antimafia dimissionario Il presidente Antimafia dimissionario «Uno dei miei cognati uccisi legato a un clan? Devo essere al di sopra di ogni sospetto» PALERMO DAL NOSTRO INVIATO E' proprio vero, povero «Pippo». Uno combatte, lotta, si impegna e poi... Basta una moglie sposata in seconde nozze, con un fratello mai visto. Poi un agguato, ed ecco un impegno contro la mafia che di colpo si offusca, una carriera politica che s'incrina, un ruolo pubblico da cui defilarsi, pure senza colpe. «Ci ho pensato a lungo, poi ho deciso che non potevo fare altrimenti. Ho scelto di dimettermi dalla carica di presidente dell'Antimafia regionale perché sono convinto che chi combatte questa società malata dev'essere al di sopra di ogni sospetto, come la moglie di Cesare. La gente ha bisogno di credere in qualcosa, nessuno, anche senza colpa, può alimentare la confusione. E' vero, in questa regione c'è gente che ha ben altro tipo di situazioni e resta al proprio posto, ma non voglio fare gerarchie di sensibilità. Ognuno si comporta come crede...». Per una volta, nelle convulse storie della Sicilia di questi anni, non c'è un solo giornale, un solo politico che abbia il coraggio di saltare, come al solito, addosso allo sconfitto. Forse perché da questa assurda vi¬ cenda di Messina, Giuseppe Campione, deputato regionale de e fino all'altra mattina presidente della commissione antimafia dell'Ars, sta uscendo, almeno lui, con grande dignità. Succede che l'altra mattina tre sicari uccidano due fratelli che stanno uscendo di casa: uno, Giuseppe Giannetto, 41 anni, era cieco per le conseguenze di un altro agguato. L'altro, Daniele, di 27, lo accompagnava al lavoro. Delitto di mafia? Forse solo una questione di bische. Ma resta il fatto che Giuseppe Giannetto era fratello della donna che il presidente dell'Antimafia ha sposato in seconde nozze. E «Pippo» si dimette. «Rapporti col fratello maggiore di mia moglie non ne ho mai avuti», spiega adesso al telefono da Taormina, dove si trova da due giorni per seguire, come docente universitario, un congresso di geografia. «C'erano legami con la madre, col fratello minore. Con lui no. Ero totalmente estraneo — eravamo, mia moglie ed io — a qualsiasi rapporto. Ma questo conta poco. Al dolore di mia moglie io devo, voglio partecipare. La drammaticità dei fatti di ieri mi impone comunque il dovere — istituzionale, politico — di rassegnare le dimissioni» E' ancora sconvolto, il deputato siciliano: «Per qualche ora ieri mattina mi è balenata anche l'ipotesi che quel duplice assassinio fosse legato a un tentativo di intimidazione. Poi l'ho scartata. E' vero, in passato avevo ricevuto minacce. Roba però di scarsa consistenza». Verrebbe da chiedere, a quest'uomo perbene, come mai non aveva pensato prima a segnalare la strana posizione di quel suo parente acquisito. Come mai non gli fosse balenata in mente l'idea che un giorno, anche senza omicidi, qualcuno avrebbe potuto attaccarlo basandosi su quell'incongruenza, sul contrasto fra il ruolo di presidente dell'Antimafia e la palla al piede di un cognato presunto mafioso. Ma la risposta è nei fatti: comunque fosse andata, difficilmente Campione sarebbe sfuggito a quella cultura del sospetto che della Sicilia di oggi è diventata il segno dominante. Giuseppe Campione è deciso: «Dopo quel delitto le cose per me sono cambiate». Nel panorama della Sicilia di questi anni, il suo rimane il solo esempio di un politico che dà le dimissioni. Sarà forse anche per questo che qualcuno comincia a pensare che sarebbe opportuno respingerle. [g. z.]
Persone citate: Giuseppe Campione, Giuseppe Giannetto
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