I contrabbandieri della siringa di F. Ama.
No alle «bombe» nei generi alimentari No alle «bombe» nei generi alimentari Adesso VAmerica rinnegagli ormoni Sul latte scontro consumatori-industria TORINO. Ci sono voluti venti anni di studi e cento milioni di dollari, ma il risultato minaccia lo stesso di essere un grosso fiasco. Il Bgh, un ormone di origine bovina, in grado di aumentare la produzione di latte di mucca del 25%, verrà lanciato sul mercato dal prossimo anno. Le quattro multinazionali chimiche che lo hanno prodotto, la Monsanto, la Upjohn, la Eli Lilly e la American Cyanamid, assicurano che si tratta di una sostanza perfettamente sicura. E citano una serie di studi condotti negli ambienti scientifici statunitensi a sostegno di quest'affermazione. Ma il mercato non la pensa allo stesso modo. I consumatori hanno fatto capire molto chiaramente di non gradire l'aggiunta di ormoni in un prodotto tradizionalmente puro come il latte. E a questi si sono aggiunti i produttori che devono fare i conti con un settore già in via di saturazione, per cui difficilmente vedono grossi sbocchi per altro latte. I maggiori distributori statunitensi stanno, quindi, facendo marcia indietro. La Kraft Usa ha annunciato di non voler utilizzare latte o derivati provenienti da mucche trattate con quest'ormone. E la principale cooperativa Usa del settore, la Associated Milk Producers Ine, ha annunciato che i suoi 21.000 soci non utilizzeranno il Bgh per le loro mucche. Anche le quattro più importanti catene alimentari statunitensi, la Safeway Stores, la Kroger, la Stop&Shop, e la Vons, si sono schierate contro il Bgh, per cui nei propri scaffali non saranno messi in vendita prodotti ottenuti da sostanze trattate con quest'ormone. D'altra parte le ricerche di mercato parlano chiaro. Gli statunitensi sono contrari a qualsiasi tipo di ormone aggiunto nel latte. Per non parlare dell'immagine negativa che il Bgh ha nei consumatori. Secondo uno studio condotto nel 1986 risulta che le società che lo producono vengono considerate «i lupi cattivi del settore alimentare». L'asso nella manica delle quattro multinazionali è la decisione che il Food and Drug Administration, l'ente Usa per il controllo dei prodotti alimentari, dovrà prendere entro l'inizio del prossimo anno: se dare o meno la propria approvazione al Bgh. «Certo i consumatori sono un po' in agitazione», ammette James Brezovec, direttore marketing della Monsanto. Ma si dice convinto che tutto si aggiusterà quando arriverà l'approvazione del Fda. D'altra parte la posta in gioco è alta. Le società prevedono un fatturato iniziale di circa 500 milioni di dollari l'anno. E il latte sarà solo il primo di una serie di prodotti trattati con ormoni. Si andrà dai polli con meno grassi a zucche più grosse. La Monsanto, da sola, ha investito più di un miliardo di dollari nella biotecnologia. Per cui bisogna a tutti i costi superare gli ostacoli. Una soluzione ci sarebbe, sostiene Jack Trout, dirigente di una società di consulenza di marketing: puntare all'inizio sui mercati esteri. «Circa il 40% del mondo muore di fame — afferma Trout —. Esportare nei Paesi del Terzo Mondo questo latte significherebbe diventare quasi dei salvatori», [f. ama.]
Persone citate: Jack Trout, James Brezovec, Kraft, Kroger
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