GLI AROMI DI DON LISANDER di Stefano Bartezzaghi

GLI AROMI DI DON LISANDER GLI AROMI DI DON LISANDER Giochiamo al sagomano: le invenzioni linguistiche dei lettori Eleonora Duse «è lAde», Gabriele D Annunzio «gaie le danno» PSEPARANDO l'antologia di sagome onomantiche che sarebbe stata pubblicata poi sul n. 668 di Tuttolibri ho escluso quegli esempi che mettevano in discussione la struttura e le regole del gioco, limitando dunque la pubblicazione alle sagome ortodosse, che ho chiamato «liscie» o «dorotee». Una sagoma liscia è quella che Marco Morello (Castiglione, To) ricava da Alessandro Manzoni: «à lesso, manzi». Il nome e il cognome, separatamente, sono stati «svuotati» di qualche lettera centrale (rispettivamente: -andr- e -on-). Di ogni singola parola deve rimanere solo la cornice, senza lettere residue al centro, e senza lettere mancanti all'inizio o alla fine. Nella frase risolutiva («à lesso, manzi») le lettere provenienti dal nome non possono formare parole assieme a quelle provenienti dal cognome. Così, quando Michele Francipane (Milano) ricava dallo stesso Alessandro Manzoni la singola parola «aromi» resta sempre nell'ambito culinario (e di cucina plausibilmente lombarda) frequentato da Morello, ma sul piano enigmistico va un po' oltre le regole della sagoma. Dato che il risultato è una singola parola, Francipane battezza la varietà come «sagoma monolessematica», formula che farà venire il mal di pancia a molti, tra i quali .Gianfranco Contini. Questi non è certo tipo da paventare il parlar difficile: eppure, in ima conferenza del 1973 dedicata al «Rinnovamento del linguaggio letterario» ha bollato di «tecnicizzazione artificiosa» il linguaggio «vòlto a fini, almeno speciosamente, pratici», a cui appartiene «monolessematico». Non è per questo che la denominazione di «sagoma monolessematica» mi convince poco. E' che la stessa infrazione delle regole della sagoma dorotea può portare a risultati finali «plurilessematici». Sempre Francipane, per esempio, ricava da Eleonora Duse: «è l'Ade»: anche qui non si considerano i confini tra nome e cognome, eppure di lessemi ce n'è tre. Conscio dell'eterodossia di due suoi esempi, parimenti splendidi, è Raffaele Massacesi (Pesaro). Il primo è monolessematico: «Piero Gobetti: progetti». Il secondo no: Pier Paolo Pasolini: per popolini». Attraverso questo esempio siamo introdotti nella vasta problematica delle sagome su nomi e cognomi composti. Sia Massacesi che Siro Stramaccia (Baveno, NO) sono pervenuti a un'allusiva sagoma su Gabriele D'Annunzio: «gaie le danno». Insomma ciò che distingue specificamente tutti questi esempi non è il numero di parole risultanti, ma il fatto che vengono superati i confini tra no- me, cognome ed eventuali particelle intermedie. Chiamerei questa varietà «sagoma smarginata», e della smarginata la «monolessematica» sarebbe solo una sottospecie. La varietà di sagoma più comune, talvolta conbinabile alla smarginata, è quella in cui dal nome o dal cognome non si toghe nulla. Per esempio, Nadia Manca (Torino) ha detto: «Ciriaco De Mita: Circo De Mita». Sempre di Manca è l'esempio: «Dario Fo: Dio fo» (ci avevo pensato anch'io, ma guardate quanto la capacità di motivare il gioco sia elemento di bravura di un onomante. A me «Dio fo» sembrava insensato, mentre per Nadia Manca è naturale: è il caso di un attore all'apice della carriera). Nel campo di queste sagome parzialmente invariate, Stramaccia ottiene da Artemisia Gentileschi un notevole." «arte mi sia gentile, sì». Si supera, Stramaccia, trovando un'«epigrafe autografa» della Gentileschi che suona così: «Arte misi. A. Gentileschi». Si tratta di un caso-limite, e introduce curiosi paradossi: una sagoma totalmente invariata, in cui cioè non si scarta nulla, è anche un anagramma in cui non si anagramma nulla, una metatesi in cui non si sposta nulla, una zeppa in cui non si aggiunge nulla. Chiamerei provvisoriamente questi casi «riletture». E giungiamo, alla fine, a Vittorio Alfieri. Su di esso io avevo la sagoma «viri o ali», a cui Francipane ha aggiunto la sua: «vo' ali». Sembrano insensate, ma al lettore carducciano ricorderanno quei versi dell'Ode al Piemonte che dicono, riferite all'Alfieri: «Venne quel grande, come il grand'augello — ond'ebbe nome; e a l'umile paese — sopra volando, fulvo, irrequieto — Italia, Italia — egli gridava a' dissueti orecchi...». Versi che al lettore gaddiano ricorderanno un'invettiva registrata da Arbasino (Certi romanzi, Einaudi, 1977), in cui Gadda si scatenava così: «Qui si pone il problema che il poeta non si è posto, mentre sarebbe stato tenuto. Come volava il grande Alfieri? E questo Alfieri che vola sarà stato così entusiasmante da vedere per chi se lo vedeva passar sopra?». Sempre usando il latinismo viri che incontriamo nella sagoma alfieriana «viri o ali», una volta Umberto Eco anagrammò così Elio Vittorini: «titoli: viri e no». Anagramma splèndido, e caso che ho ritenuto unico finché, guardando bene il nome di Vittorio Alfieri non mi sono accorto che, unendo i gruppi iniziali di nome e cognome,' si ottiene Vita: che è il titolo dell'autobiografia alfieriana tanto amata da Gadda. Stefano Bartezzaghi

Luoghi citati: Baveno, Italia, Milano, Piemonte, Torino