MARINI L'ETRUSCO di Angelo Dragone

MARINI L'ETRUSCO MARINI L'ETRUSCO AdAscona un'antologia dello scultore «modernissimo eppure antico» DaWindagine psicologica dei ritratti alVespressionismo dei «Miracoli» ASCONA ' j Wk UASI come anticipo B della grande mostra I che, a dieci anni dalla I scomparsa, onorerà H Marino Marini ( 1901 H I 1980) a Milano, in PaHj Mg lazze Reale, l'artista vw è ricordato ad Ascona ^JK^j (in Svizzera, pochi chilometri oltre il confine, ancor prima di Locarno) con un'esposizione esemplare. Curata da Efrem Beretta per il Museo comunale d'arte moderna (dove rimarrà aperta fino al 29 ottobre) si direbbe un toccante omaggio reso a Marino, ma anche a Mercedes Pedrazzini, ticinese, che l'artista aveva conosciuto e sposato nel 1938, chiamandola poi «Marina» per esprimere il senso profondo della loro unione. Mostra esemplare, anche nel catalogo che puntualmente la documenta, con testo di Luciano Caramel è apparati filologici di Luigi Cavadini. Non vasta — 26 sculture, 20 tempere e una trentina di pezzi, tra disegni e olii databili tra il 1923 e il '76 — ma d'una compiutezza rara, essenziale. A suo modo didattica, ma ad altissimo livello, da vera antologia: capace di ridare almeno a tratti le emozioni dall'indimenticabile rassegna di Marino ordinata a Roma, fin dal 1966, da Giovanni Carandente. Calibrata, questa volta, sugli spazi del piccolo museo, vi appare scandita sapientemente di sala in sala, sui tre piani del lindo edificio, giovandole oltre tutto l'abilità espositiva di un regista d'eccezione, qual è Harald Szeemann. Fin dal piano terreno: dove «Il Miracolo» dipinto tra il 1954 e il '59 con il titolo scritto su vari lati, assume il senso d'un manifesto, così come emblematica si fa la presenza della nervosa grafia plastica del «Piccolo Cavallo», bronzo del '52, e di altri due dipinti, «I Guerrieri e la danza» (1953) e «Composizione» (1967), ben connessi con la temperie figurativa di quegli anni. Sui ripiani, a mezza scala, s'incontrano per lo più le forme pregnanti d'un dipinto ben datato, capace di dare la chiave dei momenti più tipici della coeva ricerca plastica di questo scultore, modernissimo eppure antico. Già. Marino l'Etrusco, come lo si è chiamato. Perché anche se la natia Pistoia, non era stata etnisca, ma «oppidum» romano, inconfondibile è il carattere radicato nella sua produzione: che può anche non ignorare i precedenti di Medardo Rosso o di Boccioni (ma senza subirne un vero influsso), per trovare piuttosto il suo autentico dettato nell'anima antica dell'artista toscano. Nel piccolo bronzo di un ace- falò nudo femminile, seduto, «Senza titolo», con la data del «1929» fusa sulla basetta dalla quale s'erge, si manifesta subito il distacco da un'area il cui spirito classico poteva intendersi come ricorso storico, dopo l'ellenismo romano e la cultura del bronzetto rinascimentale. Forme in quegli anni instancabilmente indagate da Marino che giunse a cavarne un proprio segno: anticipando nella folta messe dei disegni, spesso colorati, una tridimensionalità, immaginata e coltivata poi nella fantasia, attraverso pagine e pagine di grafia sottile, eppur dotata di perentorietà che in alcuni fogli del 1943 circa, sul motivo dei «Cavalli e cavalieri» si fece anche più marcata, riprendendo con un caratterizzante tratto d'inchiostro di china, le parti salienti dei contorni. Continui si fanno, quindi, nelle sale i rimandi tra disegno e scultura, come tra un bronzo e l'altro: tra la severa bellezza della «Giovinetta» del '38 e la sequenza delle piccole «Pennone» d'un vigore plastico anticipato nella «Piccola figura» dell'anno innanzi. E intanto la vena del suo arcaicismo riaffiora anche nella policromia dei rilievi in terracotta (in «Toro» e in «Cavaliere»), come nella compostezza del volto di «Noemi Bolla», dove si sente la capacità di penetrazione psicologica che si fece apprezzare in numerosi ritratti, cominciando dal suo, del '42, come in quelli, più tardi', di Strawinsky (1950) e di Arp (1963). A questo punto nei dipinti come nelle sculture, le «Danzatrici» al pari dei «Giocolieri» che sembrano ispirati dal ricordo d'un vecchio circo o da un intermezzo teatrale, ma soprattutto i numerosi «Cavalli e cavalieri», potranno testimoniare, tra la guerra e il dopoguerra, la tendenza di Marino a dare all'inedita sua ricerca architettonico-spaziale, la portata di un'interpretazione esistenziale del mondo contemporaneo: approdo drammatico, cui riconduceva la stessa sua coscienza visiva. E' l'epoca che già verso la metà .degli Anni '50 s'annunciò con il personalissimo espressionismo goticizzante che in qualche modo caratterizzò subito i «Miracoli» (come la frana del cavallo con l'uomo che per salvarsi si getta tutto all'indietro) e finalmente il «Grido» e le sue variazioni sul tema, con quel suo senso di rottura non privo di una propria acuta, lancinante bellezza: capace, nel suo sintetismo, di costituire il messaggio estremo di un artista da sempre portato ad animare ogni sua opera di un'appassionata, anche sofferta, umanità. Angelo Dragone

Luoghi citati: Locarno, Marino, Milano, Pistoia, Roma, Svizzera