Voci contro di Stefania Miretti
Voci contro De Gregori Voci contro TORINO. Ci sono voci stonate, accorate, nel desolante conformismo d'idee che caratterizza buona parte della produzione musicale e cinematografica destinata ai giovani. Come quella di Francesco De Gregori, sabato sera in concerto al Palasport di Torino per presentare il suo fortunato «Mira Mare 19.4.89»; come quella di Nanni Moretti, regista e interprete di «Palombella rossa», ai secondo posto nella classifica degli incassi cittadini. Rare voci «contro», di chi sa ancora indignarsi, scandalizzarsi, dire: chiarendo le parole, usandole per ciò che significano. Veniva in mente, ascoltando il bel concerto «politico» di De Gregori, che anche lui — come il funzionario comunista e giocatore di pallanuoto Michele Apicella — avrebbe potuto battere la testa e perdere la memoria, prima d'iniziare a scrivere le nove canzoni del suo ultimo lp. Disco, scherza il cantautore, «da licenziamento». Disco di grande anticonformismo, anche verbale. Intollerante: «Non mi piaci in nessun modo, e grazie al cielo io non piaccio a te», canta De Gregori, con la stessa disarmante franchezza con cui il protagonista di «Palombella rossa», a un giovane che gli dice: «Sono contento d'averti incontrato», risponde «Io no». E quando il cantautore ci dice che «occorre coraggio per iniziare un film, come ha fatto Moretti, con la battuta: "Ecco chi sono: io sono un comunista"», si pensa che altrettanto coraggio dev'essere occorso a lui per cantare, a metà dei disincantati Anni Ottanta, «La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso». Cosa racconta oggi De Gregori ai suoi giovanissimi spettatori? I tanti «Dr. Dobermann», obiettori di coscienza in pubblico, «cucchiai d'oro» in privato; l'atroce mercato di organi umani per i trapianti, i bambini del Terzo Mondo cui vengono strappati gli occhi per essere rivenduti nei Paesi ricchi; gli immigrati di oggi («Il nero») e quelli di ieri, protagonisti della bellissima trilogia del «Titanio». Fino ai «trecento milioni di topi» che passeggiano spavaldi in via Frattina, in una canzone sospesa tra la realtà (i topi in via Frattina ci passeggiano davvero) e la metafora di più umane aggressività, più ripugnanti voracità di massa. Poi ci sono i sogni, l'immaginario fantastico, avventuroso, quasi infantile, di «Pablo» e «Bufalo Bill» — tra le letture di De Gregori, in queste settimane, «Le vie dei canti» di Bruce Chatwin, ma anche il Davide Copperfield —, della «Donna cannone» e di «Buona notte fiorellino», che il cantautore, poco amante dei cori, intona attento a mandare il pubblico fuori tempo. Un concerto — allegro, a tratti gioioso — per dire cose semplici e terribili: che al mondo ci sono i ricchi e i poveri, i ladri e gli onesti, e c'è chi specula e arricchisce sulla sofferenza altrui. Per ricordare, in anni di troppo minimalismo culturale, che (/.troppe volte zero non vuol dire uno»; per augurarsi infine che esista, che possa esistere, «un altro tipo di futuro», rispetto a quello che, a un ragazzo di vent'anni, può sembrare così rigidamente, tristemente tracciato. Un concerto così, chi se lo sarebbe più aspettato. Stefania Miretti Francesco De Gregori
Luoghi citati: Torino
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